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“Dalla parte di lei” di Alba De Céspedes

Io potevo considerarmi figlia unica sebbene, prima della mia nascita, un mio fratello avesse avuto il tempo di venire al mondo, rivelarsi un fanciullo prodigioso e morire annegato a tre anni.

E’ il 1949 quando la scrittrice Alba De Céspedes pubblica il suo romanzo Dalla parte di lei, la storia di Alessandra, una donna la cui vita va a braccetto con gli anni della guerra e della Liberazione, intrecciando la sua storia personale a quella del Paese. Trascorsa l’infanzia a Roma nel quartiere Prati, Alessandra, il cui nome era già un pesante fardello da portare, dal momento che le fu dato lo stesso nome del fratello morto nella speranza che oltre ad essere un motivo di ricordo, potesse avere alcune di quelle virtù che il piccolo bambino prodigio possedeva, la protagonista si stabilisce poi in Abruzzo.

Quest’ultima a Roma non lascia solo l’infanzia ma anche la madre, suicidatasi per amore. La storia si sposta in Abruzzo dove Alessandra verrà educata dalla severa nonna, fino allo scoppio della guerra quando tornerà a Roma per stare accanto al padre, divenuto cieco. Qui incontra Francesco, l’uomo che sposerà e col quale condividerà, seppure in maniera differente, l’esperienza della guerra.

Alba De Céspedes scrive il suo settimo romanzo in prima persona, lasciando che Alessandra sia la sola ed indiscussa protagonista di tutte le pagine; l’opera è divisa in tre sezioni: la prima racconta dell’infanzia di Alessandra e del crudele destino che lega la madre, Eleonora, maestra di piano e il piccolo Alessandro, entrambi annegati nel Tevere, la prima per suicidio, l’altro per incidente.

Nella seconda sezione Alessandra è in una campagna abruzzese dalla quale scappa, troppo distante da quel mondo e dal modo di pensare della nonna che addirittura le combina un matrimonio. Alessandra non vuole, Alessandra crede nel mito dell’amore, cerca l’amore vero e finisce per trovarlo di nuovo nella capitale, nelle braccia di Francesco, professore universitario e antifascista.

L’ultima sezione, quella più importante e corposa di tutto il romanzo, vede Alessandra e l’università, Alessandra e la guerra, Alessandra e la Resistenza, Alessandra e l’amore, Alessandra e la morte. Tutti gli eventi si susseguono sullo sfondo bellico e anche dopo la guerra, la donna sa di aver perso tutto ciò in cui credeva: Francesco e i loro incontri a Villa Borghese, il loro amore perfetto e le loro lunghe chiacchierate diventati silenzi, notti insonni di una donna trascurata da un uomo, così tanto impegnato nella politica da riservarle pochi minuti e tante assenze.

La mossa estrema: una donna trascurata e una pistola. Il suicidio come risoluzione a tutto; Alessandra però quella notte la pistola non la punta contro di sè ma verso il marito, verso quelle spalle che troppo a lungo ha dovuto guardare di notte e interrompe così una comunicazione già da tanto laconica.

Il romanzo è dunque una confessione-riflessione, come se lì, nella prigione, Alessandra trovasse il modo di parlare davvero e come se, Francesco, il mito decaduto del suo amore, avesse finalmente tempo per ascoltarla, per viverla.

Dalla parte di lei è la testimonianza di una donna che parla di una donna, che ne comprende il dolore, l’umiliazione, la voglia di riscatto e di vita e sebbene la scrittrice non condivida pienamente le scelte dell’io narrante ( cioè Alessandra) non può che, in questa battaglia di incomunicabilità tra i sessi, schierarsi dalla sua parte, dalla parte di lei.