Gabriele D’Annunzio ha lasciato un segno di straordinaria rilevanza nella storia della letteratura italiana, legando la sua copiosa produzione all’immagine di un uomo forte, capace di compiere imprese ardite, amante della vita e del bello.
La sua scrittura è lo specchio fedele di quell’immagine che egli ha costruito e forgiato con le sue mani, e l’estetismo la corrente letteraria che maggiormente lo rappresenta.
Non si può, però, dire la stessa cosa per il Poema paradisiaco, una raccolta di liriche che conclude, di fatto, l’esperienza della poesia giovanile di D’Annunzio. Il volume esce nel 1893 insieme alle Odi navali, e raccoglie al suo interno una serie di testi composti, prevalentemente, tra il ’91 e il ’92.
La figura che traspare da questo canzoniere è quello di un poeta e di un uomo delicato, malinconico, che si avvicina quasi con nostalgia ad un mondo familiare e genuino, fatto di cose semplici: il Poema paradisiaco è l’opera più “pascoliana” di D’Annunzio, che sia nella poesia che nella prosa ci ha abituato a scatti energici ben diversi da quelli presenti nella silloge di poesie in questione.
La struttura è la seguente: in apertura è dedicata un’ode Alla nutrice; poi, tra un Prologo e un Epilogo, si distendono le tre sezioni che costituiscono il cuore dell’opera: Hortus conclusus, Hortus larvarum e Hortulus animae. In totale sono cinquantaquattro componimenti.
Gabriele D’Annunzio si cimenta dunque in un nuovo tipo di poesia, e lascia la sua impronta su un filone artistico-letterario che ha avuto un grande successo in tutta Europa. È poesia decadente quella del Poema paradisiaco, che risente fortemente del preraffaellismo inglese, così come del wagnerismo centro-europeo. Il poeta cerca di fare propri atteggiamenti e temi del simbolismo allora di moda, evocando tempi andati, individuando segrete e inaspettate analogie tra le cose e inseguendo figure astratte in luoghi reconditi. Il tutto con una musicalità garantita dalle scelte metriche, che, in accordo con le tematiche e lo spirito dell’opera, si indirizzano soprattutto verso endecasillabi dallo svolgimento lento.
Celebre la poesia Consolazione, composta l’8 gennaio 1891 in occasione di un ritorno alla casa natale. C’è qui la stanchezza del poeta e dell’uomo di mondo, il bisogno di ritrovare innocenti certezze, la volontà di consolare la vecchia madre. Questa la prima quartina:
Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. È stanco di mentire.
Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio
Sull’opera si è abbattuto un uragano della critica, che si divide tra chi la giudica un capolavoro e chi invece la ritiene solo l’artefatto frutto di un esperimento poetico, dettato dall’adeguamento alla moda. Di certo, non si può negare che l’atteggiamento di D’Annunzio sia – anche o soprattutto- letterario. Ma ciò che conta è che il Poema paradisiaco è diventato un punto di riferimento fondamentale per tutta una generazione di poeti crepuscolari.