Eppure
La stanza rovinò come il naso di un sifilitico.
Il fiume era lascivia che sbrodava in saliva.
Gettando via la biancheria fino all’ultima foglia,
si sdraiarono i giardini oscenamente in giugno
Uscii sulla piazza
e un quartiere bruciato
mi misi in capo come una parrucca rossiccia.
Ha paura la gente perché dalla mia bocca
dimena i piedi un grido non masticato.
Ma, senza biasimarmi, né insultarmi,
come a un profeta, mi getteranno fiori.
Lo sanno tutti costoro, dai nasi in rovina,
Ch’io sono il loro poeta.
Come una bettola m sgomenta il vostro tremendo giudizio!
Soltanto me fra gli edifici in fiamme
sulle braccia porteranno le prostitute, come una reliquia,
mostrandomi a Dio per loro riscatto.
E Dio piangerà sul mio libriccino!
Non parole, ma spasmi coagulati;
e correrà per il cielo, coi miei versi sotto il braccio
per leggerli, ansando, ai proprio conoscenti.
Vladimir Vladimirovič Majakovski
Drammaturgo e poeta, aedo poco musicale e immensamente libero di tutto ciò che riguarda la forte storia sovietica dalla fine dell’800 ai primi decenni del secolo successivo (morto suicida, o almeno così pare si sia concordato, il 14 aprile 1930), totalmente politicizzato diviene in breve tempo il poeta delle rivoluzione, della battaglia, arrestato per tre volte a causa del suo lavoro politico, ovviamente clandestino. Amato dal popolo, conosciuto e riconosciuto da quest’ultimo (“mi getteranno fiori./Lo sanno tutti costoro, dai nasi in rovina,/
Ch’io sono il loro poeta”) si legò con enorme fermento e fermezza al futurismo che pensava potesse divenire addirittura la corrente ufficiale della rivoluzione e ne legò i due concetti anche nei suoi lavori di scrittore teatrale. Il tormento interiore, la sua voglia di ricreare situazioni politico-sociali spezzando quelle precedenti (il padre fu nobile caduto in disgrazia costretto al lavoro manuale e fisico) la sua serietà, grave e severa (aggettivi di Boris Pasternak) enormemente insolita per quel periodo (pre-prima Grande Guerra) carico di patetiche illusioni, ignoranti, buffonate politiche in grande stile, e farsesche speranze di felici collocazioni umane colpì velocemente, le sue immagini sanguinolente, decadenti, malate, sporche, puzzolenti sempre di carne e coraggio fecero breccia in quella massa di esseri che realmente viveva ed annusava un lurido squallore di giorno in giorno, una lontananza siderale da qualsivoglia forma di idea e decisione.
Inseguendo di città in città, ammutolito,
ozioso tra risoluzioni e partenze
miracolose. Di città in città,
ammansite dai riverberi della lontana
e precedente, dell’ “ovunque posso andare
e tutto possa vedere, guardare!”
ripetizione assordante di ogni
rivoluzione.