“Le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.” – scriveva Daniel Pennac.
Quando abbiamo un libro fra le mani, e ci accingiamo a leggerlo, è come se fossimo tutti sotto lo stesso cielo, niente più differenze o lontananze. Quella della lettura è una sorta di esperienza extrasensoriale, che ha poco a che fare con i vicini alieni e tanto a che fare con ciò che in noi è inespresso e latente. Cercare di descrivere il reale meccanismo che si innesta ogniqualvolta leggiamo significherebbe sminuirne la sua portata.
Accade però, a volte, che gli schemi ritenuti convenzionali siano sconvolti, ribaltati. Nascono così nuove esperienze, a partire da nuove idee.
E’ quello di cui si è reso artefice Brian Selznick, autore de La straordinaria invenzione di Hugo Cabret (e dopo di lui Martin Scorsese, che ha apprezzato il valore dell’idea e ne ha fatto un film, vincitore di un Oscar). La sua è stata una geniale intuizione dei tanti possibili risvolti artistici di cui un libro è capace. Egli deve aver letto Maurice Sendak, scrittore e illustratore statunitense, e il suo Nel paese dei mostri selvaggi. Deve aver deciso di raccontare una storia classica, che partisse da Dickens passando per Hoffman. Credo che sarebbe stato impossibile resistere all’orfanello solo al mondo, tanto più se come casa gli fosse stata assegnata la stazione di Parigi del 1931.
Il potenziale c’è, ma non ci sarebbe nulla di particolarmente originale.
E allora perché non far rivivere uno dei padri del cinema, Meliés, attraverso una intricata rete di identità perdute, esistenze nascoste, morti vere e presunte? E perché non lasciare a sciogliere la matassa assieme a Hugo Isabelle, accanita lettrice di romanzi, con la sua chiave a forma di cuore?
Ma non ci siamo ancora.
Perché non raccontare anche Il viaggio nella luna (1902), con il cannone che spara il razzo destinato a conficcarsi nell’occhio di una luna arcigna?
Come un effetto Domino, Selznick ha creato una reazione a catena. Ogni riferimento non è casuale, ma scatena altri richiami. Non soltanto Meliés guarda Jules Verne e il suo Dalla terra alla luna, ma soprattutto il suo libro guarda alla lunga tradizione di un cinema muto e in bianco e nero. La scelta artistica è evidente: raccontare tutto questo attraverso disegni e parole. Siamo di fronte ad un’evocazione che ha il sapore di un film che non abbiamo visto e il profumo di un libro che abbiamo appena acquistato. La straordinaria invenzione di Hugo Cabret è romanzo, è cinema, è graphic novel.
E’ quindi possibile sconfinare al di fuori dei limiti della letteratura? Ed è giusto parlare di limiti? Restare barricati dietro i propri angusti confini e non lasciarsi coinvolgere dalle eventuali manifestazioni che sono intrinseche in un’opera letteraria (che si tratti dell’ultimo capolavoro di Alessandro Baricco piuttosto che una storica edizione di Diabolik) è una tendenza che poco ha a che fare con il valore universale dell’arte. Il libro è un indispensabile strumento culturale dal quale non si può prescindere e al quale non può essere preclusa nessuna strada.