La vasca era gelida e trasparente. Feci l’errore di accostare il mio volto alla lastra d’acqua, appena increspata dal vento di marzo, e vidi.
Le tartine colorate in gelatina appena portate in sala parto a mia madre, esausta e sorridente tra le lacrime di sforzo. Le brioss alla ciliegia di zio Franco, che mi facevano sentire grande e amato. E poi il salame e i peperoni in agrodolce della nonna Ortensia, una domenica profumata di campagna e rose. Le prime gocce di spumante, e nonno Angelo che mi guardava curioso dietro gli occhiali neri e spessi mentre tenevo forte il calice di cristallo colorato.
Zia Gianna che preparava lo spezzatino nella casseruola. E le patatine fritte di zia Maria, che non cucinava mai, per scelta e per pigrizia, che sapevano di viaggi e chitarra. La deliziose di pastafrolla, che zia Jole chiudeva in una bustina leggera, chiusa dal filo di ferro bianco.
Gli spinaci cucinati di poco sale e molta acqua, accanto alla fetta di carne rossa di coraggio, che papà cucinava con mamma vinta dalla febbre. Il formaggio tolto dalla sua prigione di stagnola del nonno Vitaliano, consumato leggendo Famiglia Cristiana, nei suoi ultimi giorni.
Il giorno che per la rabbia di vedere Alfredino in fondo al pozzo mangiai due gelati da Carlo Marinelli. Un peperone imbottito di riso, consumato intero come un’iniziazione, a cena da Renato. La cremolata mangiata nella notte da Campioni del Mondo.
Le sottilette impastate di marmellata e lacrime per l’amore negato di Sandy. Il panettone offerto dal Professor Gaudiello, a pochi giorni dalla Maturità. Lo stomaco chiuso dopo una litigata, il giorno che assassinarono Giovanni Falcone. Il pranzo di funerale quando morì zio Fernando, tra prosciutto e ipocrisie. Le cozze in una pentola che sembrava non finire mai come lo sguardo innamorato verso il mare di Ischia.
Gli occhi di Claudia, la piadina e il Sangiovese, a Ravenna, in un giorno felice e pieno di speranza.
No, non era solo cibo. Come quella vasca. Che sembrava contenere acqua, e celava invece il racconto di me.