Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana…
Questo l’incipit di uno dei romanzi più importanti della letteratura Novecentesca: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana dell’Ingegner Carlo Emilio Gadda. Ingegnere, ma non solo; grandissimo scrittore e acuto osservatore della realtà, Gadda ci ha regalato pagine dal valore inestimabile. Il romanzo in questione apparve per la prima volta in puntate nel 1946, sulla rivista “Letteratura”. In seguito l’editore Livio Garzanti gli propose la pubblicazione in volume, realizzata nel 1957. Il successo del romanzo fu immediato e la reazione dello scrittore milanese ambivalente. Felice di essere riuscito ad affermarsi come scrittore, allontanandosi così dal mestiere di ingegnere, definito da lui stesso “il mio male”, Gadda soffre le luci dei riflettori e racconta in una lettera all’amico Luigi Semenza che l’editore Garzanti lo ha “strascinato persino dal Presidente della Repubblica”; scrive, inoltre, a Marchetti, altro storico amico, che il libro lo ha “messo in un mare di seccature, di flashes, di perditempi di ogni genere” facendolo diventare “una specie di Lollobrigido, di Sofìo Loren”.
Il Pasticciaccio è ambientato durante i primi anni del Fascismo. Il commissario della Squadra Mobile di Polizia, Francesco Ingravallo (detto “Don Ciccio”), è incaricato di indagare su un furto di gioielli ai danni della vedova Menegazzi. Nello stesso edificio viene uccisa la moglie di un ricco uomo, Liliana Balducci. Il luogo del furto e dell’omicidio è il tetro palazzo di via Merulana 219, conosciuto come “Palazzo degli Ori”, poco distante dal Colosseo.
La storia è intricata; il giallo, tuttavia, non ha soluzioni e non si chiude con la scoperta del colpevole. Non poteva essere altrimenti, d’altronde. Secondo la concezione di Gadda, la realtà è troppo complessa e mutevole per essere ordinata, compresa, spiegata e ricondotta a una logica. Per lui la vita è caos, un “pasticciaccio” di eventi, persone, linguaggi. Non è un caso che Calvino abbia scelto proprio il Pasticciaccio per introdurre il capitolo delle Lezioni Americane dedicato alla Molteplicità: un romanzo che ha in sé tutti i segni della contemporaneità e va letto “come enciclopedia, come metodo di conoscenza e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo”. La letteratura diventa, per lo scrittore, un metodo di conoscenza, di possibile approccio alla complessità del reale, che non si illude di semplificarne l’intrico, ma cerca di dare una rappresentazione alla sua natura così problematica. Anche la lingua si orienta in questo senso, divenendo specchio della complessità, un formidabile pastiche, ottenuto tramite numerosi virtuosismi linguistici e sintattici, “barocchismi” e uso di più livelli di scrittura.
Il Pasticciaccio è, sicuramente, uno dei romanzi chiave della letteratura italiana, complesso e articolato come complessa e articolata è la vita. Missione del romanziere è proprio quella di penetrare il mondo contraddittorio e oscuro dell’uomo, compito immane che può condurre facilmente alla frustrazione e alla nevrosi, ma Gadda ne era consapevole; lui stesso, infatti, ci scrive:
non beccarsi un esaurimento nervoso […] significa avere la sensibilità di un ippopotamo.