Sento ancora il rumore delle pale girare, mi frullano i pensieri come vere e proprie lame nel cervello, e non posso farle smettere perché sono dietro a quella fottutissima grata bianca. A volte ho desiderato di essere un condizionatore; voglio dire, nessuno che ti dica ciò che devi o non devi essere, né tantomeno la tua mente che ti perseguita ovunque vai, semplicemente perché non ne hai una. Loro ti accendono e tu dai loro aria fresca, punto e basta, i problemi sono affar loro.
Purtroppo per me, non sono una condizionatore. Chi sono? Lo scoprirò durante la mia vita, o forse no. La mia storia non so nemmeno da dove o se inizi, ma prometto che ce la metterò tutta per narrarla come si deve, come in un vero racconto, fico vero? Ve lo prometto, diamine, non state lì a chiedere altro, dopotutto io voglio solo aria fredda.
E allora eccoci qua, come promesso (o forse no) vi parlerò della mia storia, di una serie di emozioni che hanno percorso le piste della mia mente, per poi finire appoggiate sul cruscotto dell’auto. Amo distrarmi alla guida, amo l’ebbrezza di un pericolo vano, di un rischio senza gloria, di un capriccio nato quasi per se stesso. La mia storia dicevo, la musica distorta da quel ronzìo incessante, un turbinìo che m’incalza, si diffonde nel cranio e va a sbattere contro tutte le sue pareti; diamine, mi ha rovinato la canzone, ha interrotto il flusso della distrazione, e mi spinge a fare l’unica cosa a causa della quale non ho ancora iniziato a parlarvi della mia dannata storia: allungo il braccio, inarco leggermente il pollice e l’indice così da formare una sorta di pinza-umana, e, agganciando la levetta tracciata con la plastica ruvida all’interno di un piccolo vano circolare, lo spengo. Sento di nuovo la musica, ma è ancora disturbata, il ronzìo… amo distrarmi alla guida, si fa più forte, un faro…
Addio, questa è la mia storia, spero vi sia piaciuta, il lieto fine non posso darvelo, dopotutto, ora finalmente sono solo un condizionatore.