L’Ulysses, l’opera più ardita e significativa di James Joyce, è il baricentro della letteratura occidentale contemporanea, e non solo. Punto d’arrivo e di partenza, apice, summa, approdo definitivo. Un po’ come la Divina Commedia. Un po’ come il Don Chisciotte. La letteratura contemporanea parte esclusivamente da questo romanzo, e sotto alcuni aspetti sembra addirittura concludersi.
In quest’opera, scritta tra il 1914 e il ’22, Joyce riversa innanzitutto la figura del camminatore, o più semplicemente quella del viaggiatore, un uomo eternamente in viaggio, dalla coscienza schizoide e dall’anima divisa, con la speranza di vivere nel mondo scoprendosi e rinascendo, rinnovarsi perennemente, e di celebrare gioiosamente gli esseri e tutte le cose che lo circondano. Attraverso questa realtà ineluttabile ogni oggetto o persona sono ricchi di contraddizioni, opposizioni, divergenze, punti di vista, in una miriade molteplicità di eventi intangibili e geometricamente incalcolabili. La preoccupazione di trovare i significati misteriosi che pervadono l’opera fa dimenticare la sua principale intenzione, quella del godimento che si riceve attraverso la scrittura, e quindi divertire con lo strumento trasfigurante dell’ironia. Infatti il gioco a specchi e ricco di analogie con l’Odissea va interpretato come un capovolgimento, in chiave ironica, dell’epica antica e del mito. Nessun parallelismo o copiatura, semmai corrompere un genere letterario, invertire le sue caratteristiche originarie, assorbirlo e integrarlo con tecniche narrative nuove e particolarmente complesse, dandogli un aspetto moderno e d’avanguardia.
Quest’odissea eroicomica si svolge tutta in una sola giornata, quel fatidico 16 giugno del 1904 in cui Nora Barnacle (l’infedele signora Bloom nello specchio deformante dell’opera) aveva accettato d’incontrare al loro primo appuntamento un ventunenne James Joyce. Ed è in un solo giorno, in quel giorno, che si cercherà d’immortalare l’intera esperienza umana.
Il luogo è Dublino, che assieme al suo simbolico microcosmo viene descritta con potente realismo. I tre personaggi, che compongono un triteismo dai risvolti religiosi ricchi di fascino e suggestione, sono Leopold Bloom, sua moglie Molly, e Stephen Dedalus, l’artista perplesso e lacerato, timoroso della morte e del nulla. Questa trinità è per Joyce l’ultima condizione umana del secolo, e riflette svariati livelli interpretativi: Stephen è la personificazione di Telemaco, Molly la classica Penelope o addirittura la Terra, mentre Leopold è appunto Ulisse, oppure Cristo, Don Chisciotte, o Dante in un Inferno per niente mitico ma tremendamente moderno, senza escludere che Leopold e Stephen sono entrambi proiezioni di Joyce in tempi della sua vita molto diversi, affinché il lettore possa tener conto del continuo autobiografismo che pervade interamente l’opera.
Ci troviamo d’innanzi a una struttura composta da tante altre meta-strutture, cioè una quantità incredibile di tecniche e strategie letterarie, oltre che narrative, forse eccessiva ma in grado di rinforzare come nessun altra opera la struttura multiforme e sfaccettata attorno cui si plasma l’incredibile massa del materiale, e attraverso cui Joyce ha voluto realizzare, in un gesto unico ed estremo, un’opera totale ed enciclopedica, con un ritmo impressionante per varietà ed espressività stilistica in un susseguirsi di toni che vanno dall’eroico al tragico, dal nichilista alla creazione di valori morali. Il libro sembra ergersi come la più esaustiva e delirante opera realistica di tutto il ‘900, esaurendo e fondendo assieme quasi ogni possibilità del romanzo moderno.
Nell’Ulysses i temi e le idee raggiungono la massima maturità concettuale, e l’opera racchiude tutti i più grandi motivi joyciani: il conflitto tra l’Io e il Mondo, la ricerca di un’Identità oramai spezzata, i problemi dell’Etica o di ogni presunta morale, le motivazioni che comportano l’urgente bisogno di Libertà, la Colpa congenita ed esistenziale dell’Uomo, e l’esigenza elementare di ogni essere umano, cioè quella di rivalutare e riacquistare una nuova coscienza e un nuovo sistema di valori.
L’apice stilistico e creativo viene raggiunto con l’utilizzo del stream of consciousness, o “flusso di coscienza”. Lungi dall’essere solo una registrazione di processi associativi della mente, quello che ci propone Joyce è tutt’altro che un mero susseguirsi meccanico di pensieri. Joyce procede per lampi linguistici e premeditate costruzioni sintattiche, quindi un mosaico estremamente elaborato nel quale predomina l’elemento fonico che semantico, e questo rileva la sua grande conoscenza in campo psicanalitico e soprattutto – la sua ineguagliabile capacità – la profonda consapevolezza che aveva della potenza comunicativa ed espressiva della sua arte, il linguaggio.
Infatti quest’opera può essere definita come una sorta di manifesto Etico ed Estetico della parola. La varietà delle tecniche narrative utilizzate qualifica certo la sperimentazione del romanzo, ma testimonia soprattutto il dovere principale di ogni grande scrittore, cioè mettere a fuoco tutte le possibilità del suo mezzo espressivo, che è strumento della sua Arte e mezzo comunicativo per eccellenza.
Di conseguenza, leggere l’Ulysses come un “conato di parole” risulterà a dir poco superficiale ed esemplificativo: l’Ulysses non demolisce sovrastrutture sociali o linguistiche, ma va dritto al cuore pulsante di ogni realtà degna di ammirazione, cioè l’Uomo.
I tre protagonisti sono sostanzialmente un’unica cosa, cioè l’Umanità, ovvero la struttura dell’essere umano: corpo, mente e sensi. Nel magnifico monologo finale di Molly la condizione umana verrà accettata incondizionatamente attraverso la rivendicazione della fisicità più assoluta, dove l’incubo diventa estasi fisica, annullando ogni forma mistica e metafisica della realtà, e scavando un buco inesorabile nella modernità.