…certo, chiusa in quella gabbia non è che avessi granché da vedere o sentire.
O toccare. Buio, sempre buio. Una volta al giorno, la porta della mia prigione si apriva e mi faceva quasi male la lama del sole che tagliava l’oscurità. Ma solo per pochi istanti. Il tempo che quella megera mi passasse il cibo attraverso le sbarre – dolci sempre dolci, ogni giorno uno diverso: tiramisù babà sfogliatelle crostate cassate gelatine bignè… – che controllasse – «Mangia tutto, da brava…!» – e andasse via.
Un’altra giornata, da passare così. Al buio. Sola.
Non le importava dei miei strilli, dei miei pianti – «Dov’è mio fratello? Sta bene? Lo voglio! Portamelo qui, mangerò di più, te lo prometto!» – ma lei niente. Voleva che mangiassi i suoi stramaledetti dolci – «…per diventare più rotondetta, solo un po’ mia cara, vedrai come starai bene!…».
Quel giorno, torta di fragola. Con le fragoline sopra. E glassa di fragole.
Zuccherosa e vomitevole come la sua voce.
E poi…
E poi lo sanno tutti com’è andata. Io e mio fratello ci siamo sbarazzati di lei e siamo tornati a casa.
Quando mio fratello vuole farmi vomitare, basta solo che mi dica all’orecchio: Glassa alla fragola.
(dal diario di Gretel)