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2. La conferma della mimosa. [Cinque fiori macchiati di sangue]

Come un’ombra nascosta nel buio di una stanza, quella visione mi inseguiva, assumendo i contorni della colpa. Cosa fare? Rimuovere ogni ricordo e tornare indietro? Abbandonando la strada?

No. Io volevo continuare a conoscere, a decifrare il percorso degli incubi, almeno fino a quando non mi avessero costretto a uscirne.

Così, uscii da casa con il coltello ben nascosto nel cappotto. Un punto di riferimento, per orientarmi in una miriade di volti di donna, tutti sfrontatamente vivi, incapaci anche solo di immaginare la propria ipotesi di morte nei giorni delle mimose, quando tutti sembrano amare le donne.

Gertrud era perfetta, così sorridente, ubriaca, con le spalle strette, e la pelle bianchissima. Ascoltavo i suoi racconti impastati di divorzio e noia, ridendo, e trovavo straordinariamente ironico che il destino avesse estratto a sorte proprio il suo viso per offrirlo in sacrificio al pasto avido dei lettori della Süddeutsche Zeitung.

Poche ore ancora, e l’intera storia di una donna sarebbe stata sfilettata e servita in un pezzo di cronaca al sangue, per chiedersi, in un terrore ipocrita, se vi fosse una sola mano dietro le due donne macellate nei dintorni di Stuttgart in cinque, gelidi giorni.

Curiosità morbosa che qualche volta anch’io, da lettore avevo avuto, prima di passare da quest’altra parte, a costruire le storie di sangue che tanto piacciono alla borghesia tedesca.

Prima di tornare nel buio, dovrò percorrere tutta la strada, e conoscere la verità dei miei  incubi. Ma per capire, bisogna prima uccidere. O almeno, io ho deciso di fare così.