Nessuno indagherà sulla mia scomparsa.
O, cosa che temo, sulla mia morte.
Lo so, sembra un esordio da paranoico, ma non riesco a spiegarmi altrimenti.
Cominciamo dall’inizio.
Dall’incipit.
Si dice così, no?
Punto primo.
Situazione iniziale: mi sento seguito.
Un classico del noir, lo ammetto. Mi guardo attorno, sono convinto di essere spiato. Per strada, al lavoro. Perfino a letto. Per inciso: Lauren mi ha lasciato senza spiegazioni.
Figuratevi che ieri mi è passata davanti ed è stato come se non esistessi.
Tanto lo stupore di sentirmi trasparente che una macchina mi stava mettendo sotto.
Forse sto diventando trasparente davvero.
Nessuno più mi saluta, come se avessi la peste o se tutta la città fosse stata colpita da un’epidemia di Alzheimer.
Punto due.
Iniziano a scomparirmi le cose. No, non sto dicendo che qualcuno me le rubi o me le tolga apposta da sotto gli occhi per farmi impazzire – anche se sono arrivato a sospettarlo, non lo nego.
Il fatto è che… puf! Non ci sono più.
La valigetta, i vestiti. Poi la macchina.
Oggi ho trovato il nome di un estraneo sulla targhetta della porta. Inutile dire che ho provato ad entrare a casa mia con la chiave. Quando ho cercato di sfondare la porta a calci, mi ha aperto un tizio con una faccia di tolla indescrivibile che mi guardava come se fossi un verme rimasto attaccato al SUO zerbino.
Lì ho dato di matto.
È iniziato tutto – questo avrei dovuto dirlo all’inizio, non in medias res, ma tant’è – con la freccia bianca del sogno. O dell’incubo, dovrei dire.
Si porta dietro una specie di cassa da morto, o forse sta dentro a quella scatola nera, lei così bianca e puntuta, sempre rivolta verso di me.
Mi insegue ovunque, ma sembro vederla solo io.
Mi dà la caccia al bar, in metro. Sulla spiaggia. Mi sono buttato a mare per sfuggirle e per poco non affogavo.
Mi sono convinto che sia lei a farmi sparire le cose. Ad averle – tremo al solo pensarlo – CANCELLATE.
Oddio. Parlo di questa cosa come di lei. Come se fosse qualcuno. Come se esistesse davvero.
Non ha volto.
Non ha nome.
Eppure la vedo.
La sento.
Nelle mie farneticazioni da pazzo – sono un folle, lo sto diventando, lo so – le ho dato il viso di un’indiana, che m’insegue a cavallo, mi supera, si volta e punta l’arco verso di me.
Incocca la freccia.
La scaglia.
Mi colpisce.
Strano.
Ogni giorno, ogni momento che passa i miei ricordi perdono di consistenza. Sento che anche i miei pensieri si disfano.
Perdo pezzi? Sto per sparire anch’io?
Non so più cosa faccio, non so più chi sono…
«Amore, ti sei deciso allora?».
«Beh, sì. Mi è costato un po’, ma alla fine…».
«Tu sei troppo buono, pure i tuoi personaggi ti fanno pena. E che sarà mai? Quell’Humphrey mi faceva antipatia. Una lagna, un nevrotico insopportabile…».
«Avevi ragione. Il tuo shit detector funziona meglio del mio».
La risata della moglie gorgogliò in mezzo ad un trepestio di padelle.
«Dai che è pronto, Booker Prize».
L’Autore di noir sollevò l’indice dal tasto rettangolare, nero con la freccina bianca, che lui chiamava “la mia indiana che cancella all’indietro, come se fosse su un cavallo in corsa e si voltasse contro i nemici”, salvò il file, spense il portatile e seguì la scia profumata verso la cucina.