Le righe nere della vendetta può essere considerato, con giusta ragione, un giallo storico. Le sue vicende prendono avvio in una notte di mezza estate del 1585, a Mantova, quando l’architetto Vannocci viene trovato morto nella sua casa, costellato dai colori. L’accaduto trarrà dal sonno l’ammaliante capitano di giustizia della corte dei Gonzaga, Biagio dell’Orso, il quale, comincerà ad indagare sin da subito su quello che sembra presentarsi come qualcosa di ben più intricato e profondo di un semplice omicidio. Le trame della storia sono diverse ed i personaggi sembrano riconoscersi ora nell’una, ora nell’altra.
La più ovvia e superficiale, per così dire, è quella dell’omicidio e dell’indizio lasciato dal pittore insieme alla piantina di un edificio, probabilmente una chiesa, schermata dalla presenza di Omero. La seconda, meno incisiva, fa capo alle maglie di potere che collegano Roma con Mantova e Firenze. Tali grandi corti, daranno modo di richiamare alla mente dei lettori avvenimenti storici fondamentali per l’evoluzione della storia italiana come il saccheggio di Roma da parte di Carlo V o le mire espansionistiche di Francesco I sui comuni italiani. Accanto a questi primi due macro-temi vi troviamo quello dell’amore e quello della religione stagnante e claustrofobica, che fa capo all’Inquisizione, all’oppressione e alla violenza.
Nella scala gerarchica, al gradino più alto però, si pone il filone storico-artistico che ingloba e rigenera in se tutti gli altri sotto-filoni, ad esso infatti sarà collegato l’omicidio e in esso confluiranno le vicende del Vannocci e di Giulio Romano, quest’ultimo, artista della corte papale, scappato a causa di alcuni suoi quaderni, messi al bando dalla Chiesa. Come fili dello stesso ago, dunque, questi intrecci verranno intessuti congiuntamente a riflessioni ideologiche, nelle figure del Capitano Biagio, della Santa Inquisizione, da cui quest’ultimo non è ben visto a causa del suo spirito generoso e compassionevole e in Lucilla, una giovane condannata a venir arsa per stregoneria.
La Silvestrin, adorabile misantropa, cela abilmente ai suoi lettori il colpevole dell’omicidio e riesce a farlo con molta naturalezza perché i personaggi nati dalla sua penna, tendono a fondersi gli uni negli altri e sebbene le biografie di ognuno appaiano completamente slegate, esse aspirano a diventare un flusso continuo di eventi ed informazioni che abbia come obiettivo comune quello di depistare il lettore dall’occhio del ciclone.
Un’interessante storia romanzata, come dicevamo, una narrazione che intreccia a vicissitudini politiche la vita di persone comuni, vite minori di cui nessuno ricorderebbe le gesta. Un punto di vista trasversale quello dell’autrice – architetto, la quale ha posizionato, con amabile maestria, le perle di uno dei periodi più bui della storia italiana, mescendo ai pregiudizi religiosi di un’epoca conservatrice e sessuofoba, la corsa verso il potere intrisa di trabocchetti, cadute e morte.