Se si divideva la vita nella parte dedicata alle azioni e alle parole obbligate e in quella riservata ai movimenti di libera iniziativa e ch’era quella che solo meritava il nome di vita, come questa era meschina in confronto di quella. Il signor Aghios era partito anelante alla libertà, ma sapeva che, di lì a qualche giorno, della libertà ne avrebbe avuto abbastanza e avrebbe ambito di riavere il suo giogo. Era così! La schiavitù non era solo un destino, ma anche un’abitudine.
Il signor Aghios è il protagonista dell’incompiuto Corto viaggio sentimentale, il più ampio e articolato del racconti di Italo Svevo. E’ ripartito in sette capitoli, ma l’ultimo è solo avviato: I «Stazione di Milano», II «Milano-Verona», III «Verona-Padova», IV «Venezia», V «Alla stazione di Venezia», VI «Venezia-Pianeta Marte», VII «Gorizia-Trieste».
Nel racconto si narra, appunto, di un viaggio d’affari da Milano a Trieste compiuto dall’anziano signor Aghios, che porta con sé la considerevole somma di trentamila lire. Impaziente di liberarsi della moglie che amorevolmente l’ha accompagnato alla stazione, alla partenza del treno prova finalmente la sensazione di essere libero e anche ringiovanito, sottratto così alle premure troppo asfissianti della donna -che lo considera vecchio e un po’ sprovveduto- e alle sregolatezze del figlio, che non gli nasconde la sua insofferenza.
Sul treno, Aghios si diverte a intrecciare il suo sguardo con quello di giovani donne: scruta con meticolosa attenzione sia l’interno del vagone che il mondo fuori dal finestrino e, quasi ossessivamente, tiene sotto costante osservazione se stesso. Si sottopone, anzi, a un’analisi accurata dei gesti, delle sensazioni, degli impulsi e anche dei pensieri, alla ricerca di leggi universali che ne spieghino razionalmente la causa e il funzionamento. Molti i segnali che potrebbero far apparire Aghios un uomo affetto da disturbi ossessivo-compulsivi: si tasta di continuo le tasche, per soddisfare l’irrefrenabile impulso di tenere in ordine e sotto controllo le sue cose e, sistematicamente, si assicura di avere sempre con sé la busta contenente il denaro.
Durante il viaggio, fuma e fa conversazione con diverse persone tra cui Giacomo Bacis, un giovane palesemente affitto da una grave angoscia: impietosito, Aghios usa verso il giovane ogni sorta di premure e, durante la sosta alla stazione di Venezia, gli offre la cena. Si inserisce a questo punto un ampio excursus: Bacis racconta all’anziano compagno di viaggio la sua complicata vicenda d’amore e d’interesse. È fidanzato con la figlia del suo padrone, Berta, che non ama ma che sposerebbe per interesse;tuttavia non si rassegna a perdere la propria amante, la bella Anna, di umile condizione, dalla quale aspetta un figlio. Pur volendo rompere il fidanzamento, ne è impedito dal fatto che non è in grado di restituire le quindicimila lire avute in anticipo sulla dote e che, a sua volta, ha prestato a suo fratello caduto in difficoltà. Aghios ascolta commosso il giovane amico e, dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino, si arrovella sul modo di aiutarlo, giungendo infine a confessargli di avere con sé trentamila lire. Di nuovo in viaggio, Aghios si addormenta profondamente intorpidito dal vino e sogna di essere in viaggio per raggiungere Marte. Al risveglio, si accorge che Bacis è sceso dal treno e che lo ha derubato di quindicimila lire. In realtà, a ben vedere, solo apparentemente il protagonista è stato derubato; in realtà ha fatto in modo di mettere a disposizione del ragazzo la somma che gli era necessaria e che lui desiderava offrirgli.
Il viaggio in treno di Aghios, ancor prima di essere uno spostamento fisico da un posto all’altro, è un cammino psicologico e morale. Il viaggio diviene un modo per ricercare una verità che è insita in noi stessi, ma che la quotidianità cela; un modo per rivelare il nostro pensiero e un metodo di indagine interiore, che rimette in discussione noi stessi e il nostro rapporto con gli altri. C’è naturalmente qualcosa di Zeno in Aghios, un modo leggero di stare dentro e fuori la vita, dentro e fuori la realtà.
Le opere di Italo Svevo che, in relazione alla sua produzione “maggiore”, si possono definire “minori”, offrono sicuramente una chiave di lettura utile per interpretare lo sviluppo della narrativa e lo stile unico e magistrale dello scrittore giuliano.