Non è il tempo degli intellettuali, o quanto meno non è il tempo giusto per quelli italiani. I cosiddetti intellettuali che sembrano scomparsi hanno smarrito la bussola, incapaci di dare vita a nuove forme di produzione critica, sembrano figure evanescenti, tagliati fuori dal complesso quanto non scomparso fenomeno europeo del Barlusconismo. Un oggetto teorico, quello perpetrato da B. e dalla sua compagine di ex magistrati corrotti, ex prostitute, ex mafiosi, ex terroristi, tremendamente complesso da rendere evidente l’inadeguatezza della strumentazione intellettuale della sinistra, quella innanzitutto d’impronta marxista, nei confronti di un fenomeno grottesco che risulta tutt’ora un inedito, sia nei modi che nei contenuti, e maldestro tentativo di avanzamento democratico. Con la caduta di B. il Barlusconismo si presenta come una marcata trasformazione della Democrazia, una sorta di malformazione che è andata intensificandosi nel corso di quasi due decenni, e che ora sembra giunta alla sua più totale evoluzione, quella di essere humus morale della nostra coscienza.
Smembramento della carta costituzionale, declino culturale ed economico del paese, caduta della formazione e della ricerca, malessere spirituale e degrado della società civile, una cospicua parte della popolazione allontanata da ogni possibilità offerta dal lavoro. La politica sembra una sorta di mercato occulto, la partecipazione attiva alle cariche pubbliche è stata sostituita dagli intrallazzi di un gruppo ben organizzato di procacciatori d’affari. La corruzione ha coinvolto il maggior numero possibile di cittadini per concretizzare bisogni individuali e privati, estendendosi nella fitta rete di agenzie pubblico – private aventi finalità diverse – lavoro, sanità, turismo, gestione dell’acqua – con l’obbiettivo principale di modificare in profondità la natura morale e civile dei cittadini. La Lega ha enfatizzato la sua divisione etnico – linguistica, incrementando l’immaginario xenofobo tra gli italiani e amplificando la misantropia collettiva e il conseguente terrore verso l’altro. Gli interessi economici – imprenditoriali del Nord agiscono in misura sempre maggiore sui paesi del Sud, scaricando sul meridione ingenti risorse di mafia, accaparrandosi mercati ricchissimi – racket di taglie, commercio della droga, sfruttamento schiavistico degli immigrati, prostituzione, denaro riciclato, smaltimento dei rifiuti – garantiti e tutelati dalla massiccia presenza, armata e brutalmente violenta, di bande criminali che compromettono la partecipazione territoriale della cittadinanza, ormai destinata all’apatia più totale.
Ed è solo in questo scenario che si può leggere e comprendere, e cercare sprazzi di tremenda attualità, uno degli scritti più intensi e lungimiranti del Nostro, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani.
Scritto nel 1824, ma rimasto inedito fino al 1906, questo saggio di Giacomo Leopardi mette in luce, quasi due secoli prima, la condizione civile e psicologica dell’Italia.
Un popolo che vive un’anomalia morale più che politica, e che a differenza delle altre nazioni non riesce ad essere unitaria, indivisa e quindi nazionale, con una coscienza nuova, da popolo moderno con basi originali e rinnovate, alla ricerca di quella coesione e di quella identità unitaria che dovrebbe appartenere alla civiltà e alla società.
Un’identità che ancora adesso vive lacerata e in frantumi, un volto deturpato da un potere oligarchico – massonico – imprenditoriale che fa della politica il crocevia tra i bisogni privati ed egoistici di un gruppo di governanti, e le istanze e i bisogni di un popolo sempre più disposto a prenderne le distanze. La frantumazione territoriale, la stagnazione economica iniziata durante il XVII° sec., il dominio continuo da parte di popolazioni straniere in passato, e poi oggi i partiti, i sindacati, le clientele, il Nord, il Sud e il Centro, la mafia e la camorra, e la Chiesa come istituzione universale ma localmente disseminata creano tensioni culturali che difficilmente possono trovare una forma giuridico – istituzionale ben centralizzata. Questi antagonismi hanno creato una condizione permanente, e se vogliamo apparentemente invisibile, di guerra civile tra le vecchie e nuove generazioni, rimanendo una caratteristica propria e indelebile del nostro patrimonio e della nostra coscienza collettiva. Questo porta non solo ad una sfiducia nei confronti della Politica e della Democrazia in generale, ma della Vita stessa.
Per Leopardi gli italiani sono il popolo più cinico del mondo…
<<ridono della vita, ne ridono assai più, e con più verità e persuasione, intimi di disprezzo e freddezza che non fa niun’altra nazione.>>
L’arte della conversazione è stata sostituita,
<<passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue>>
al suo posto tutti a combattere, a massacrarsi l’uno verso l’altro, cercare di difendersi e sopravvivere se non si vuole rimanere oppressi e travolti da colui che viene, dallo straniero di turno.
È da alcuni decenni che gli italiani non riescono a dare alcun senso alla politica, rinunciano all’impegno civile per rifugiarsi nel privato. Muoiono nella passività estrema, vera forma di apatia, pratica accettata con tragica consapevolezza.
L’Italia è sempre più una nazione malata in termini patologici, i cittadini mostrano gravi segni di nevrosi, aumentano gli omicidi e i suicidi, sempre più perverso è l’immaginario sessuale, uso enorme e frequente di droghe, e sempre più separati dai bisogni generali della comunità, rivolti solo ed esclusivamente all’appagamento di piaceri egoistici.
La Società Civile nasce non dalla apatia, non dalla indifferenza, non dal cinismo, non dal silenzio. Se le attuali generazioni si dimostreranno
<< fredde, conducenti all’indifferenza, all’aridità, al puro calcolo, anche i caratteri, le azioni loro sono al tutto e consapevolmente fredde, calcolate, indifferenti, insensibili. >>