Un giorno c’è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com’era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all’altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d’improvviso, capita la morte. Un uomo esala un leggero sospiro, si abbandona sulla sedia, ed è la morte. La sua subitaneità non lascia spazio al pensiero, non dà occasione allo spirito di cercare una parola che possa consolarlo. Restiamo soli con la morte, col dato inoppugnabile della nostra mortalità. La morte dopo lunga malattia possiamo accettarla con rassegnazione. Anche che la morte accidentale si può attribuire al destino. Ma che un uomo muoia senza causa apparente, che muoia solamente perché è uomo, ci spinge così vicino all’invisibile confine tra la vita e la morte da farci domandare su che lato di esso ci troviamo. La vita si fa morte, ed è come se quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento.
Paul Auster, scrittore statunitense pubblica nel 1979 il suo romanzo L’invenzione della solitudine; è una storia bifronte che si articola di due parti: la prima Ritratto di un uomo invisibile e la seconda Il libro della memoria.
Lo scrittore affronta la morte improvvisa del padre come può e cioè necessariamente attraverso la scrittura; ne viene fuori un memoriale della sua vita, del suo essere figlio di fronte ad un genitore assente e del suo diventare padre tanto premuroso da far nascere in lui la necessità di indagare a fondo sul suo nuovo ruolo e sul modo in cui sente di viverlo, troppo diverso da quell’uomo che chiamava padre senza considerarlo tale.
Un’autobiografia accorata di un uomo che torna indietro con la mente, con la memoria in quella casa paterna dove “niente è più terribile che trovarsi faccia a faccia con gli oggetti di un morto”; eppure quelle cose appartenevano ad un uomo che sembrava già morto anche da vivo, chiuso com’era nel suo mondo asettico dove nulla poteva entrare, nessun sentimento umano; viveva il padre di Paul? O la sua era un’attesa della morte?
L’autore deve sapere e il suo viaggio interiore a ritroso porta a galla emozioni assopite che adesso, proprio come quella morte paterna improvvisa, vengono fuori tutt’insieme soffocando quasi l’uomo che a stento riesce a controllarle: fin da piccolo ha cercato di avvicinarsi a quell’uomo, impermeabile a qualsiasi battito di cuore, ha cercato di legarsi a lui, di sentirsi figlio ed amato, solo per questo, solo per un legame di sangue da lui non voluto ma che c’è… Ma non è bastato.
La scrittura diventa lo strumento per andare a fondo, lasciando però lo scrittore, ormai adulto, sicuro di avere una protezione dal suo stesso passato, attraverso le parole, attraverso quel libro, così suo, così dei lettori.
Seppure possiamo arrivare a conoscere molto parzialmente un altro essere umano, questo, vale solo entro i limiti da lui stesso imposti
Il padre di Paul ha fatto una scelta: la solitudine; in questo modo ha scelto per sé e per tutti quelli che a lui sono vicini, figlio compreso, che non può che pagare lo scotto di avere un padre invisibile.
Nella seconda parte del romanzo, Auster, analizza se stesso nel rapporto con il figlio Daniel; resta però bloccato nelle sue frammentate riflessioni che il seguire il flusso di coscienza che la sua mente partorisce è impresa ardua.
Stende un pezzo di carta sul tavolo davanti a sé e con la penna scrive queste parole.
Il cielo è azzurro e nero e grigio e giallo. Il cielo non c’è, ed è rosso. Tutto questo tu ieri. Tutto questo avvenne cento anni fa. Il cielo è bianco. Esso odora di terra, e non c’è. Il cielo è bianco come la terra, e odora di ieri. Tutto questo avvenne domani. Tutto questo fu tra cento anni. Il cielo è del colore del limone, e della rosa, e della lavanda. Il cielo è la terra. E’ bianco, e non c’è. Si sveglia. Fa avanti e indietro fra il tavolo e la finestra. Si siede. Si alza. Va avanti e indietro dalla sedia al letto. Si sdraia. Guarda il soffitto. Chiude gli occhi. Li apre. Cammina avanti e indietro fra tavolo e finestra. Poi trova un foglio vergine. Lo stende sul tavolo davanti a sé e con la penna scrive queste parole: E’ stato. Non sarà mai più. Ricorda.
In copertina: l’immagine del padre di Paul Auster visto da diverse angolazioni e avvolto nelle tenebre; la solitudine e la morte si abbracciano nella mente dello scrittore.