Incapaci di portare a compimento il loro amore, semplicemente. Catherine e Heathcliff trascinano per anni una passione incompiuta, ricoprendola di vendetta, fantasmi, matrimoni sconclusionati, accenti gotici di una storia che strazia e lascia impotenti. Dietro queste maschere, nascondono una cattiveria rara: è silenziosa e macchinosa, non lascia spiragli di luce. Divora Heathcliff, o forse è lui stesso a nutrirsene, consapevolmente e con orgoglio.
Catherine cerca di nascondere quello che ha dentro senza neanche accorgersene: è ingenua, tanto che compie azioni malvagie nella più inconsapevole delle attitudini. Guarda dall’alto un mondo a cui sente di non appartenere, a cui effettivamente non appartiene. L’autrice dissemina nel romanzo indizi e suggerimenti, così da assegnare alla nostra Cathy una dimensione straniata e straniante, un’alienazione insana e crudele, favolosamente sospesa nella nebbia della brughiera. La sua dichiarazione di identità con il suo compagno d’infanzia ( l’indimenticabile “Io sono Heathcliff!” ) stupisce alla prima lettura, non è di immediata comprensione. Ma rileggendo il romanzo più e più volte (personalmente ho perso il conto) ci appare un’affermazione necessaria, innegabile. Appartengono l’uno all’altro.
Heathcliff è malvagio? Negarlo è un’ammissione di ammirazione adolescenziale, adorazione per il “cattivo ragazzo”. Questo zingaro provenuto da chissà dove si comporta malissimo! Accumula denaro per vendetta, trascina la sua esistenza, privato del suo amore, della sua anima, dopo la morte di Catherine, con il solo fine di vendicarsi. Sposa Isabella, e la tratta alla stregua di un oggetto in disuso, un utensile che non funziona più e che bisogna buttare. Odia persino suo figlio, una nullità. Non è generoso, non è nobile; dà l’impressione di non conoscere nemmeno il significato di bontà.
Sono personaggi condannati a non stare bene, ma che malignamente si compiacciono della loro condizione di miseria morale e sentimentale. Perpetuano ogni azione nel totale disinteresse di chi sta loro intorno, dando prova di un egoismo complesso. Se, infatti, l’egoismo è definito come amore smisurato per se stessi e per i propri interessi, anche a scapito di altre persone, loro lo stratificano, includendosi a vicenda nel proprio egoismo, ampliando il proprio ego fino a inglobare l’altro. Ed è così che, come Catherine non vede la malvagità di Heathcliff, così neanche lui vede quella della sua amata. Si proteggono.
Nonostante ciò, è difficile non sperare in una conciliazione, in un lieto fine, anche se si conosce lo sviluppo della vicenda. Siamo irrimediabilmente attratti da queste due losche figure che, in tutta la loro egoistica e malvagia grandezza, tormentano la nostra coscienza e la nostra fantasia. Sono personaggi che non è facile dimenticare, che sono predisposti a tornare alla memoria nei contesti più disparati. Innegabile, dunque, il loro fascino. Innegabile, allo stesso modo, il fascino di “Cime tempestose”.