I sogni son desideri, suggerirebbe la nostra consumata cultura popolar nazionale, gli incubi sono anch’essi sogni, bisbiglierebbe la nostra cultura cinematografica anni ’90. Attenti dunque al nostro desio, direbbe il buon senso. Non sia mai che ciò che vogliamo con volontà ferrea diventi il chiodo sulla nostra bara. Il buon senso però era cosa delle nonne, delle vecchie zie, non è di questa generazione. Vogliamo, desideriamo, ringhiamo e scalciamo perché crediamo che il nostro talento, reale o putativo, sia indispensabile al mondo. A ruota libera esponiamo le nostre credenziali, le nostre abilità, senza curarci delle conseguenze che, nel caso di riuscita, inevitabilmente ci saranno.
Un ragazzo mingherlino, di quelli che le ragazze non si limitano a non guardare, uno di quelli di cui nemmeno conoscono l’esistenza, sente un fuoco dentro, niente di sacro, un violento ardore però. È un regista, o meglio vuole diventarlo, ha scritto una sceneggiatura che invia ovunque ed a chiunque, clausola imprescindibile, sarà lui a dirigere il film. Le grandi case cinematografiche si comportano con lui come quelle ragazze, lo ignorano. Decide allora di provare una via traversa, non demorde, le case di produzioni pornografiche. Eccolo il miracolo, tra sudori e orgasmi, la via per il successo nel suo caso è lastricata di condom. Una cifra contenuta, rispetto alle solite investite nel cinema, un guadagno stellare. In pellicola e nelle sale un film generazionale: Freewheelin’ . Comincia così il paradosso del vincitore. Durante la scalata si combatte con lo sforzo, la fatica è l’unica nemica, arrivati all’apice si tira forse il primo vero respiro di sollievo. Invece no, la punta è stretta, solo un piede resta come appiglio e comincia il ballo. Il ragazzo mingherlino traballa, punta il piede, alcool, afferra un ramo, droghe, vede la voragine sotto di sé, sesso, comincia a precipitare, ossessioni. Lui è lì, attorno il circo dei lacchè si agita. Tutto è concesso, un calcio in pieno volto ad un conduttore tv è perdonabile, lui è il grande regista, le sue mutande sono preziose, gli adoranti osannanti fans attendono fiduciosi che lui stilli altra saggezza. Il gregge attende le parole del messia. Lui messia però non è. Eppure ha aizzato le menti, lo chiamano assassino, lui che secondo il mondo ha armato le mani di folli, che hanno fatto del suo un film di protesta. Quello che per lui “è solo un film” per altri è il manifesto della rivoluzione. Il piede allora cede, il felino non graffia più, le unghie non bastano per tenere la presa, il vuoto attende il vincente che, inevitabilmente, cade. Più alto è il traguardo più lontano sentiranno il botto.
Nico Di Lalla, classe 1989, è al suo esordio con “Freewheelin’. A ruota libera”. Un uso originale e quasi spregiudicato della punteggiatura e dello stile dei caratteri, la scelta di una trama non lineare ma con una linea temporale spezzettata, parrebbe poter rendere la lettura disagevole. Non è così. Queste peculiarità rendono originale una storia che pure ci è già capitato di ascoltare o leggere. Verrebbe da dire sia un libro maneggevole, pur non dimenticando le tinte angoscianti della storia, una scorrevolezza dalle tinte porpora. Il male si annida nella società ma anche dentro il protagonista, la sua strafottenza diviene paranoia, la paranoia mista all’ipocondria ed alla paura divengono malattia. Questo stesso male, descritto in modo da farlo parere naturale pare avviluppare, in misura diversa, ognuno di noi, le colombelle sono sbranate, il buon felino, il black cat, è ucciso senza pietà.
“Il re è nudo” è una storia che continua a darci soddisfazione, questo ragazzo la racconta in un modo moderno, lontano da un intento moraleggiante. Un augurio per chi si accinge a scalare la vetta, spero arriviate più in alto possibile. Attenzione però, allacciate stretta la cintura dei pantaloni, la folla sarà di certo pronta a deridervi nel caso in cui li perdiate per strada.