Gatto che giochi per via
come se fosse il tuo letto,
invidio la sorte che è tua,
ché neppur sorte si chiama.
Buon servo di leggi fatali
che reggono i sassi e le genti,
hai istinti generali,
senti solo quel che senti;
sei felice perché sei come sei,
il tuo nulla è tutto tuo.
Io mi vedo e non mi ho,
mi conosco, e non sono io.
Fernando Pessoa
La felicità è ciò che c’è in un gatto che gioca per via. È cio che vede Fernando Pessoa.
Non solo un uomo. Non solo una vita. Fernando Pessoa, e non soltanto lui. Dargli un’unica identità, chiamarlo col suo nome di battesimo sarebbe come chiuderlo in una gabbia e ostruirgli l’accesso a tutto un mondo fuori, un mondo che egli stesso ha creato, insieme e per la sua opera.
Il primo eteronimo Chavalier de Pas a soli sei anni; poi cominciò a convivere con tutti gli altri a cui via via, la sua immaginazione, la sua penna hanno dato l’esistenza. Fernando Pessoa è in fondo solo ciò che resta di se stesso.
Un uomo che sa estrarsi dalla sua condizione e osservare l’essere umano nella sua precarietà. Le sue parole diventano portatrici di messaggi universali.
È ciò che fa anche in questi versi, “Gatto che giochi per via”, tre quartine che ci invitano a riflettere su ciò che siamo per davvero. Vede un gatto e lo invidia. Un gatto che gioca per la strada. Banalmente. Eppure gli occhi di Pessoa leggono in quel gioco, in quella ordinaria azione la definizione della libertà, della propria essenza. Sembra niente, ma quel niente è fare ciò che si vuole senza condizioni; è un dire sì a ciò che il fato, la natura, forse Dio ha voluto che esso fosse: essere nient’altro che ciò che è. E in questo c’è la felicità. Questo è la felicità.
Il poeta lo guarda e si guarda, ma comprende di non condividere quella desiderabile sorte; sorte di quel gatto, ma anche dei sassi e delle genti. Si riscopre solo e riconosce di non possedere niente del suo nulla, di non aversi affatto.
Questa è la sua angoscia, la sofferenza di chi percepisce la vita come un sogno e riconosce nell’individuo un essere che si affanna a cercare di conoscersi, di scavare nella profondità del suo io. Purtroppo però si affatica vanamente.
Nessuno sa cosa fa, nessuno sa ciò che vuole, nessuno sa cosa sa.
Questo componimento ci consegna l’immagine di un poeta certamente enigmatico, che riflette e che ammette i limiti della propria condizione, ma in questo un uomo vivo, un uomo vero.
Un gatto, una strada, un poeta che guarda…