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“I quarantanove racconti”: Ernest Hemingway tra singhiozzi di parole

Hemingway scrive come se singhiozzasse … ogni sua parola è un’esplosione di realtà, senza nessun freno, selvatica e impulsiva, viva e tangibile al punto che il lettore ha l’impressione di trovarsi di fronte qualcosa di crudo, di reale, agghiacciante e affascinante allo stesso tempo.

Con quel che ci è accaduto, quel che succede, quel che conosciamo e quello che non possiamo conoscere, inventiamo un qualcosa che non è una semplice rappresentazione ma una creazione totalmente nuova e più reale di qualsiasi cosa reale ed esistente e se la rendiamo viva e il risultato è buono, diventa immortale.

Nel 1938 Ernest Hemingway pubblica I quarantanove racconti, un capolavoro della narrativa americana di tutti i tempi e il manifesto della scrittura e del pensiero dell’artista. La raccolta sa di immediatezza senza cedere a preziosismi linguistici o descrittivi, racconta il vero ma non è mai disfattista, amaro ma non depresso; offre una variegata reinterpretazione dell’umanità, uomini, donne e adolescenti alle prese coi problemi che vanno dal piccolo quotidiano alla guerra.

Non è un caso che questi quarantanove racconti, confezionati in uno stile impareggiabile che non ha nulla a che fare con inutili sovrastrutture, raccolgano in sè le tematiche care allo scrittore: la guerra, l’amicizia, l’amore, i viaggi tra la Spagna e l’Africa, la caccia, lo sport e delle riflessioni ad ampio respiro sulla vita e sulla morte.

Hemingway misura tutto: non un dettaglio superfluo, non un aggettivo fuori posto ma tutto centellinato, ricercato al fine di tramutare le emozioni in parole, le storie degli altri nelle storie del lettore al punto che chiunque dopo aver letto la raccolta si sente protagonista, assapora la sensazione di aver vissuto, se pur in minima parte, quel viaggio, quella riflessione, quel dolore o quella gioia…

Tra i vari racconti “Le nevi del Kilimangiaro” dove il protagonista è un uomo che si guarda dietro, a quanto ha vissuto e tira le somme: rimpianti, sbagli, occasioni perdute, azioni compiute solo per interesse;  “Breve la vita felice di Francis Macomber” in cui Francis, tocca con mano la felicità, seppure breve, durante un safari in Africa dopo aver vissuto una vita piatta e insoddisfacente; c’è poi una serie di racconti dove Nick Adams, personaggio principale è in realtà l’alter ego dello stesso scrittore: di Nick, Hemingway racconta l’infanzia, le esperienze adolescenziali e il dramma della guerra che sconvolge il ragazzo mutandone profondamente l’atteggiamento verso gli altri e verso se stesso, mostrando una fragilità maschile minuziosa e straordinaria.

A dire il vero Hemingway non soltanto conosceva bene tutte le sfumature dell’uomo ma sapeva anche utilizzare la forma perfetta per descriverle: arroganza, virilità, ferocia, vigliaccheria, fragilità.

Uno dei tanti racconti che vale la pena menzionare è “Colline come elefanti bianchi”: qui lo scrittore mostra in pieno le sue doti nell’utilizzare la forma del dialogo; ogni parola, in qualsiasi forma viene detta, riesce ad esprimere profondamente l’inquietudine del personaggio che la dice, la drammaticità o la purezza e attraverso volute ripetizioni lessicali e con l’espediente di un ossessivo silenzio nello scambio di battute. In questo racconto la storia è concentrata su due giovani alle prese con una decisone importante, quella di porre fine alla gravidanza della ragazza; in uno scenario surreale, attraverso singhiozzi di parole è evidente l’atteggiamento dei due… di comodità dell’uno che con un “è semplice, lo fanno in tanti” sminuisce il fatto e la ragazza, che ancora incerta si concentra sulle colline, le quali con la luce del giorno chiara sembrano assomigliare ad elefanti bianchi.

Non a caso elefanti bianchi… rari a trovarsi, preziosa la loro vita come lo è quella del bambino che forse una non ne avrà…

La ragazza stava guardando verso la fila lontana di colline. Sotto il sole erano bianche e i campi erano bruni e riarsi. “Sembrano elefanti bianchi” disse; “Non ne ho mai visto uno” disse l’uomo bevendo la sua birra;  “No, non potresti averlo fatto”; “Potrei si” – disse l’uomo – “il semplice fatto che tu lo dica non prova nulla”.