Stephen King è uno scrittore prolifico, tonnellate di suoi libri circolano in tutto il mondo, la sua è una firma inconfondibile e, con la saga della Torre Nera, ha compiuto un lavoro straordinario, lungo una vita. Tra la pubblicazione del primo e l’ultimo dei sette tomi che compongono la serie vi è un lasso di tempo di ben ventidue anni e, tra le urla festanti dei suoi fan, l’autore ha annunciato per quest’anno l’uscita di un ottavo volume. Impossibile attribuire un genere alla serie: le classificazioni horror, fantasy e western, riunite qui in una miscellanea incredibile, sarebbero da sole inadeguate a descriverla senza farle un enorme torto. Fonti d’ispirazione per l’autore, come lo stesso spiega nella prefazione, sono state allo stesso tempo la saga del “Signore degli Anelli”, i film di Sergio Leone e la poesia “Childe Roland” di Robert Browning.
Vi propongo un viaggio da compiere insieme. Materiale occorrente: stivali da cowboy, pistola, immaginazione. Siate emozionati, impazienti e non barate….
“L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì”.
Comincia così l’opera poderosa, l’epopea fantastica, il lavoro maestoso del Re del terrore, l’incipit che egli stesso segnala come il preferito della sua intera carriera. Primo libro, prima tappa, “L’ultimo cavaliere”. Permettete a me in quest’unico caso di barare: non vi arrendete, dell’intera saga questo è il libro meno riuscito, il più confuso, ma ne varrà la pena se non vi farete scoraggiare, sono pronta a giurarlo. Inoltre non temete se non siete abituali fruitori del genere fantasy: la traduzione del titolo è inappropriata (letteralmente l’ultimo pistolero), per cui non appariranno nel corso della lettura né re Artù né il sacro Graal.
Siamo nel deserto, brullo e con un orizzonte talmente spoglio da sembrare terribilmente infinito, in uno scenario post-apocalittico, un “mondo che è andato avanti”; impossibile capire se si tratti di una realtà che verrà nel futuro o se si tratti invece di un mondo parallelo solo simile al nostro. In questo strano universo una pompa di benzina è degna di essere adorata e gli uomini canticchiano “Hey Jude” dei Beatles. L’uomo in nero, il cui nome è Marten, simbolo del male, stregone malvagio al soldo di un essere ancora più cattivo di lui, fugge e Roland Deschain della Baronia di Gilead, ultimo pistolero al mondo, lo insegue. L’uomo in nero però è sempre un passo avanti e semina provocatoriamente molte tracce, quasi mollichine per attrarre un Pollicino armato ed implacabile.Scopo finale dell’eroe solitario non è solo quello di arrivare all’oscura presenza che rincorre, ma in realtà di raggiungere la “Torre Nera”. Alla pompa di benzina, o meglio a quel che ne resta, Roland incontra Jake, bambino che assurgerà nella storia al ruolo di agnello sacrificale e fonte di successivo riscatto. Il protagonista, infatti, benché eroico oltremisura, al fine di compiere la sua missione, è disposto a qualsiasi cosa. La morte, il dolore e la distruzione paiono seguire il pistolero, sia nei ricordi sia nel presente, nella sua mente e nella cittadina di Tull. Fino all’incontro finale con Marten….per il seguito occorrerà attendere “La chiamata dei tre”.
Lettura perfetta per gli amanti di King, che incontreranno nella trama riferimenti a molte altre opere del Maestro, per gli amanti del fantasy che, se capaci di superare il senso di frustrazione dato dall’assenza di draghi, rimarranno estasiati e per chi, come me, non è entusiasta gratuitamente di nessuna delle due cose, ma, inevitabilmente, si trova spiazzato, ammirato e risucchiato dalla storia.
Il nostro viaggio è cominciato, nei prossimi mesi incontreremo ancora il pistolero, allacciate strette le fondine allora e vediamo chi estrae le pagine più in fretta. Si sa, la penna ferisce più della spada, speriamo anche più della pistola.