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La più famosa parodia in versi dell’amore cortese: il “Contrasto” di Cielo d’Alcamo

Rosa fresca aulentissima, ch’appari inverso state,

le donne ti disirano, pulzell’e maritate!

Traimi de ’ste focora, se t’este a bolontate,

perché non aio abento notte e dia

penzanno pur di voi, madonna mia

È la prima delle trentadue strofe  (cinque versi l’una, tre settenari e due endecasillabi) dell’unica opera a noi pervenuta di Cielo d’Alcamo: il Contrasto.

Si tratta di un componimento del tutto particolare, tramandato nel codice Vaticano Latino 3793, dal titolo Rosa fresca aulentissima (l’incipit della poesia). L’anno di composizione si ricava da riferimenti interni al testo, ed abbraccia il lungo periodo 1231 – 1250. Ma non è questo l’unico oggetto di disputa che ha dato del filo da torcere a critici e filologi di ogni epoca. Oltre l’anno preciso di stesura dell’opera, un grande punto interrogativo circonda le principali – quanto meno – vicende biografiche dell’autore, Cielo d’Alcamo (conosciuto anche come Ciullo d’Alcamo, il cui vero nome sarebbe stato Cheli o Celi Dalcamo), poeta siciliano nato agli albori del XIII secolo e probabilmente vicino alla corte di Federico II e alla sua celebre Scuola.  Chiunque sia stato – non sappiamo se giullare, come molti ipotizzano, o poeta di corte che voleva fare un uso comico del nuovo linguaggio cortese – l’autore del Contrasto palesa una straordinaria padronanza di tutte le formule linguistiche e retoriche cortesi.

L’opera, di ambientazione campestre, fa emergere una situazione di tipo comico: essa è costruita come un dialogo tra un giullare e una fanciulla. Il primo impegna tutte le sue forze in un serrato corteggiamento alla seconda, che prima reagisce duramente alle avances, ma poi cede progressivamente fino a concedersi.

Il genere cortese oggetto della parodia, certamente ben presente nella testa di Cielo d’Alcamo, è la pastorella, che era solita mettere appunto sulla scena un poeta-cantore innamorato ed una pastorella di umili origini. Ma non mancano forme e stilemi di altri testi unificati dal tema dell’amor cortese, che dalla Provenza alla Francia settentrionale, dall’Italia alla Germania, è stato per molto tempo indiscusso leitmotive di tanta letteratura medievale: su tutti, naturalmente, il gettonatissimo Roman de la Rose.

Il Contrasto è stato concepito, con tutta probabilità, come un mimo giullaresco, accompagnato quindi dalla musica e adatto ad essere inscenato. È questo quello che traspare dalla lettura delle strofe, che posseggono infatti un ricco movimento drammatico, dovuto sia al contenuto che alla forma (come detto, stanze di cinque versi, con una rima ridondante che segue lo schema a a a b b). Scritta in lingua siciliana, ma impastata con termini dialettali campani, l’opera contrappone costantemente forme auliche ad altre molto popolari, spesso volgari, con lo scopo di creare un’originale e quanto mai riuscita parodia dell’amore cortese, dei suoi temi e del suo linguaggio.

Quì, a balzare in primo piano, sono la menzogna, la violenza, il dirompente desiderio sessuale

Dunque vorresti, vitama, ca per te fosse strutto!

Se morto essere debboci od intagliato tutto,

di quaci no’ mi mossera, se non aio lo frutto

lo quale staci ne lo to’ jardino:

 disìrolo la sera e lo mattino

Chiaro il riferimento al frutto da cogliere nel giardino, che si desidera dalla sera al mattino.

Il testo conserva una freschezza ed una genuinità che ne ha assicurato il costante successo: complice della situazione, il lettore sembra strizzare l’occhio all’opera e al suo autore, quel Cielo d’Alcamo, uomo certamente di grande cultura, che ha scelto con consapevolezza letteraria la strada della parodia faceta.