<< Ho riassunto Lo straniero, molto tempo fa, con una frase che riconosco essere molto paradossale: “Nella nostra società qualsiasi uomo che non pianga alla sepoltura della propria madre rischia di essere condannato a morte”. >> Albert Camus
Dietro un romanzo come Lo Straniero bisogna vedervi in filigrana almeno due precise esperienze: quella della condizione coloniale e quella indiretta della guerra di Spagna. Con la fine della rivoluzione popolare, la Spagna veniva vista come banco di prova di solidarietà di tutte le Nazioni, una prova come sappiamo tragicamente fallita che avrebbe spalancato le porte al più catastrofico dei conflitti armati del ‘900. I sogni di libertà e speranza del giovane scrittore vennero improvvisamente bruciati: fine del Fronte popolare, Guerra di Spagna e invasione delle truppe hitleriane in territorio francese. Tali episodi saranno decisivi per quella che hanno definito la sua “battaglia contro l’assurdo”, contro l’ideologismo intransigente, il fanatismo. Contro il << tutto è permesso! >>.
L’estrema razionalizzazione del razionale trova la sua prima esemplare rappresentazione in Lo Straniero, che assieme al dramma Caligola e al saggio teorico Il Mito di Sisifo compone un trittico di capitale importanza, composto tra il 1940 ed il 1945 e definito “Il Ciclo dell’Assurdo”.
Ne Lo Straniero la sua filosofia si riduce allo scheletro delle cose. Un testo che si lascia leggere e rileggere, ma qualsiasi cosa succeda nella storia è come se, in un certo senso, non significasse “nulla”. Lo Straniero è uno di quei rarissimi libri che riescono a cogliere tra le righe fantasia e realtà, oggettivazione e soggettivazione, il rifiuto del “sublime”, ma anche di quel umanesimo più manieristico. Una scrittura rarefatta, “realizzando uno stile dell’essenza che è quasi un’assenza di stile ” (R.Barthes). Lo Straniero è il manifesto di quella Letteratura che supera sé stessa con un linguaggio basico, pulito, essenziale, allo stesso tempo lontano sia dal linguaggio parlato che da quello prosastico.
Negli anni che intercorrono durante il secondo conflitto mondiale, l’umanità arriva al punto più basso – se posso permettermi tale audace affermazione – di decadenza. È dall’idea di purezza che siamo passati a quella di “razza ariana”; dall’idea di superiorità a quella di “libero arbitrio”; dalla brama smodata di Stato a quella del Totalitarismo. Sia oscurità che purezza lavorano a fare la parte e la controparte di una recita macabra e grottesca. La Letteratura, in questa fase, gioca un ruolo determinante: una Letteratura che crede di lavorare per la chiarezza, ed invece crea solo confusione; una Letteratura che giura sulla purezza e sullo stile, ma che finisce per fare il gioco sporco di qualche ideologia accattona; una Letteratura che crea meravigliosi labirinti, col finire di ingarbugliarsi in un labirinto ancora più grande, quello della Politica. La convinzione di Camus è che alla sovrapposizione di canoni corrisponda una sovrapposizione di idee, perché arrivino ad essere inflazionate, dispersive e parassitarie. Camus si è reso conto che la nostra felicità e la nostra disperazione sono prodotti di questo libero mercato d’idee. In tal modo non può che risponde con la rivolta silenziosa di Meursault, il suo straniero.
Meursault è un uomo, appunto, che non piange “al funerale della madre”: un personaggio paralizzato dalle sue scelte ancor prima di decidere. Sottraendosi ad ogni gioco, diventa lo straniero della città in cui vive, ed erra come un relitto che si abbandona a sé stesso. Meursault non sta al gioco. Egli “rifiuta di mentire. […] Meursault per me non è dunque un relitto, ma un uomo povero e nudo, innamorato di un sole che non fa ombra. Lungi dall’esser privo di qualsiasi sensibilità, è attanagliato da una passione profonda: la passione dell’assoluto e della verità. Mi è accaduto di dire anche, e sempre paradossalmente, che avevo provato a raffigurare nel mio personaggio l’unico Cristo che meritiamo” (Camus).
Su questa tesi di Camus sono state scritte molte cose, e migliaia almeno sulla sua concezione dell’assurdo, soggetta a un esasperante relativismo d’opinione. A noi per adesso non interessa sapere se nella versione cristologica del suo personaggio si nasconda una cinica e spietata visione dell’umanità, o la sublimazione di una visione radicale dell’essenza dell’uomo. Ciò che resta, e che oramai ci appartiene, è un’opera come Lo Straniero, e la sua disarmante bellezza.