L’egual vita diversa urge intorno;
cerco e non trovo e m’avvio
nell’incessante suo moto:
a secondarlo par uso o ventura,
ma dentro fa paura.
Perde, chi scruta,
l’irrevocabil presente;
né i melliflui abbandoni
né l’oblioso incanto
dell’ora il ferreo battito concede.
E quando per cingerti io balzo
– sirena del tempo –
un morso appena e una ciocca ho di te:
o non ghermita fuggi, e senza grido
nel pensiero ti uccido
e nell’atto mi annego.
Se a me fusto è l’eterno,
fronda la storia e patria il fiore,
pur vorrei maturar da radice
la mia linfa nel vivido tutto
e con alterno vigore felice
suggere il sole e prodigar il frutto;
vorrei palesasse il mio cuore
nel suo ritmo l’umano destino,
e che voi diveniste – veggente
passione del mondo,
bella gagliarda bontà –
l’aria di chi respira
mentre rinchiuso in sua fatica va.
Qui nasce, qui muore il mio canto:
e parrà forse vano
accordo solitario;
ma tu che ascolti, recalo
al tuo bene e al tuo male:
e non ti sarà oscuro.
Clemente Rebora
In questo prologo ai “Frammenti Lirici” Rebora traspone tutto quello ch’è il suo bagaglio poetico; il gruppo di poeti, o meglio dire intellettuali, di cui faceva parte collaborava alla rivista “La Voce” (Firenze, 1908-16) di Prezzolini il quale aveva riunito giovani della generazione dell ’80 con esperienze e capacità non soltanto letterarie ma che avessero inoltre amore delle materie storico-filosofiche e pedagogiche; questo indubbiamente andava ad arricchire il discorso stesso dei partecipanti (Rebora stesso) riuscendo comunque a sviluppare interessanti strutture stilistiche ed originali tematiche, almeno nell’approccio.
La vita è il centro del suo cantare (ed anche del suo prosare), la vita che ha breve durata, o meglio, breve ma disorientata, dunque il metafisico ed il trascendente fanno brillante mostra nel nostro poeta ma a queste meravigliose figure più che terrene, si oppongono le figure di carne e creano quel che davvero il cervello umano vive nel suo corso; la battaglia tra le immobili creazioni cerebrali ed il suolo duro e sporco con le proprie conseguenze. La lotta silente tra il vivere ed un attendere nevrotico si poggia con naturalezza su una vita borghese, cittadina, e non fa rumore, ribolle come in tutti noi con semplice umanità tenuta stretta. Soffocata.
La Sua è dunque una pesante ed ardua poesia di pensiero e di riflessione morale, che contrasta su ogni piano, letterario e personale. Il conflitto di Rebora è estremamente violento e nel 1929 sfociò nella conversione cattolica ed al sacerdozio che gli fece rifiutare nettamente tutti i suoi lavori precedenti,nel suo diario intimo, pubblicato cinquant’anni dopo la morte del poeta egli stesso scrisse di aver fatto voto segreto di “patire e morire oscuramente, scomparendo polverizzato”.