Tokyo, 1984. Un taxi è bloccato nel traffico della tangenziale. Al suo interno una giovane donna, Aomame, ascolta all’autoradio la Sinfonietta di Janàcek, melodia a lei stranamente familiare. In ritardo ad un appuntamento, su consiglio del tassista, Aomame decide di scendere dal taxi per dirigersi verso una scala d’emergenza. «Le cose sono diverse da come appaiono, ma non si lasci ingannare: la realtà è sempre una sola…» l’avverte l’uomo.
È un attimo. Un balzo nel tempo o, forse, nell’universo.
Dall’altre parte della città un professore di matematica, Tengo, con la passione per la scrittura, vive nel suo quasi perfetto limbo «Difficilmente potrei dire di essere un insegnate e, nonostante scriva romanzi, nessuno di questi è stato stampato, quindi non sono nemmeno un romanziere», sino a quando non gli viene proposto dall’editore Komatsu di riscrivere il romanzo della diciassettenne Fukaeri. Diventare un ghost writer in cambio della partecipazione all’ambitissimo premio Akutagawa. Ma la ri-scrittura di questo romanzo lo porterà in una realtà differente da quella in cui vive.
Due protagonisti. Due anime. Una storia.
«Uno si può fare un’idea di ciò che sta accadendo solo guardando coi propri occhi e giudicando con la propria testa», eppure anche quelli, a volte, ingannano…
Un interruttore. Tutto si spegne pur riaccendendosi. Parallelamente. Altrove.
Aomame, metà Alice metà Nikita, è una serial killer. Uccide per vendicare donne vittime di violenza. Eppure tutto le sembra come sempre. Alla radio trasmettono le canzoni di Michael Jackson e la principessa Diana è ancora viva. Ma ci sono quei particolari, quei piccoli dettagli, che la fanno sentire estranea ad un mondo che invece dovrebbe conoscere perfettamente.
Un giorno però, Aomame e Tengo, pur distanti, si ritrovano a guardare una luce diversa. No, non è una luce, ma la luna. Una seconda luna che sembra essere quella barriera che separa i due universi: 1984 e 1Q84.
La domanda sorge spontanea. È, quello di Aomame, il 1984 di Murakami o il 1984 di Orwell? Il paragone è d’obbligo. Dopotutto lo stesso nome è un chiaro rimando al romanzo cult dell’autore inglese. Infatti, la lettera «Q» [kju] in inglese si pronuncia come il numero 9 in giapponese (kyuu). Un semplice omaggio? A me piace pensare di no. I due mondi a confronto, la descrizione della società giapponese in tutte le sue sfumature, la vendetta (sociale?) della protagonista. Tutti elementi d’incastro per un puzzle fantascientifico, a tratti ironico, per molti aspetti malinconico.
Ogni passaggio del romanzo gira attorno a questo concetto: le cose non sono come appaiono, ma di realtà ne esiste una sola. Anche se si può mascherare la verità con una finzione, con una menzogna, è necessario ricordare che «una volta che si dice una bugia al mondo, bisogna continuare a mentire in eterno. Diventa necessario per far quadrare i conti».
Murakami Haruki ha pubblicato il romanzo in Giappone nel 2009, in tre differenti volumi che, in totale, hanno venduto più di 2 milioni di copie. Ichi kyū hachi yon (la pronuncia esatta in giapponese) si figura quindi come il capolavoro dell’autore che, ad oggi, è considerato il capostipite della letteratura moderna giapponese: capace di miscelare ingredienti diversi e stili sempre ricchi ma mai complessi.
In attesa del prossimo libro, godiamoci questo capolavoro.
Sayonara.