Dappertutto si trovano opere d’arte, i giardini sono verdi in ogni stagione, e la cerchia dei colli che sovrastano e scendono fino al Tevere forma una scenografia che non si smette facilmente di ammirare.
(Augusto) abbellì a tal segno l’Urbe […] che egli potè giustamente gloriarsi di aver trovato una città di mattoni e di lasciarla in marmo.
Sono parole, rispettivamente, di Strabone e Svetonio. È un momento fondamentale nella storia di Roma, che vive una svolta epocale: termina nel sangue l’avventura della Repubblica e inizia la lunga epopea dell’Impero.
A inaugurare la nuova era è Augusto, primo imperatore, personaggio avvolto da un’aura, più che storica, diremmo leggendaria. Il suo programma, di dimensioni vastissime e tutto all’insegna del rinnovamento, invade i campi della cultura, della politica, della morale e dell’edilizia. È quest’ultimo settore ad attrarre la nostra attenzione: il nuovo padrone di Roma prevede una completa riorganizzazione urbanistica e architettonica della capitale dell’Impero. Le testimonianze di Strabone e Svetonio sono più che mai esemplificative del nuovo clima che si respira in città: un clima, finalmente, di pace, che si intende esplicitamente celebrare con la costruzione di nuovi edifici, pubblici e privati, e con la ristrutturazione di vecchi.
Entra in gioco, in questo contesto, la composizione – tra il 27 e il 23 a. C. – dell’unico trattato sull’architettura in lingua latina che ci sia pervenuto: si tratta del De architectura. L’autore è Vitruvio, sul quale si sa ben poco: con certezza – è proprio lui a dircelo – siamo a conoscenza di una significativa esperienza in Gallia, al seguito di Cesare, in qualità di addetto alla costruzione e manutenzione delle macchine belliche.
L’opera, dedicata ad Augusto – a cui Vitruvio si rivolge esplicitamente nella prefazione – è un trattato tecnico, diviso in dieci libri, i quali analizzano nel dettaglio le competenze di cui deve essere in possesso l’ideale architetto antico. Figura, quest’ultima, che non godeva di grande considerazione presso i Romani, inclini per forma mentis ad attribuire scarso prestigio a quelle professioni che, ponendo in secondo piano la teoria, si rivolgevano piuttosto all’applicazione paratica. Ma con Vitruvio la svolta è compiuta: la figura di architectus che lo scrittore ha in mente assorbe in sè sia il nostro architetto che il nostro ingegnere. Lo scopo è quello di unire mirabilmente conoscenza teorica e competenze tecniche.
E che conoscenza teorica! Forte di una tradizione di ascendenza ciceroniana, ma ben presente anche nei grandi circoli della Roma repubblicana, Vitruvio costruisce una figura dai molteplici interessi: versato nelle lettere, abile disegnatore, esperto di geometria, ma anche competente in campo filosofico, musicale, medico, giuridico e astronomico. Tutte queste conoscenze, insieme, concorrono nella sua professione, che acquisisce così, diremmo oggi, un trading up che sarebbe rimasto invariato nei secoli.
Per lo più sconosciuto nel Medioevo, il De architectura conosce una fortuna immensa con l’Umanesimo e il Rinascimento, che fanno dell’opera un testo di riferimento culturale indiscusso: a Vitruvio, più di tutti, devono la loro ispirazione talenti come il Brunelleschi e Leon Battista Alberti.