Cuore di De Amicis non può essere compreso se non attraverso l’interpretazione del contesto sociale e del periodo storico in cui è nato e ha preso corpo e vigore la sua fama. Ha influenzato l’immaginario collettivo di un popolo, ha scosso e commosso un’intera nazione e svariate generazioni d’italiani, ma a partire da valori comuni e non comuni in quel tempo, accettati non sempre con piacere ma con dolore e fatica inaudita. Il 1886 – l’anno di pubblicazione del libro – è stato il baricentro attorno cui orbitava il nascente partito socialista, ma c’erano già stati le invasioni dei briganti, le prime repressioni e la rivolta contadina “La Boje”. Cuore è un classico intramontabile, ma resta un indefinibile quanto intrattabile prodotto letterario, non in se stesso ma in base al consolidamento di alcuni pregiudizi e di certo retaggio culturale: critica antica e critica moderna, i pregiudizi del lettori contemporanei, snobismi degli pseudo-intellettuali che trovano inaccettabile ciò che è accettabile in un libro come Cuore. C’è a chi piace o non piace perché piace e non piace piangere, perché piace o non piace l’ostentazione dei buoni sentimenti, chi confonde il sano moralismo educativo con quello insano e perbenistico, chi predilige il drammatico finale o rifiuta ogni idealistica realtà rifuggendo da ogni convenzionale commozione. Non è insomma il romanzo per chi nega le emozioni, per chi crede che una gote debba essere asciugata perché sintomo di codardia e poca virilità ed ogni emozione negata perché vergognosa: in poche parole Cuore non è per il lettore moderno.
La doppia sorte di questo libro è figlia dei tempi che sono mutati, ed assieme a essi la cultura, le mode e i suoi costumi: dal post-risorgimento e dall’unità in poi le vicende politiche, l’evoluzione sociale, economica e industriale hanno drammaticamente cambiato la psicologia e i comportamenti di un popolo. Un libro come Cuore, che è stato un tempo modello morale e pedagogico, rischia di essere riletto come il frutto di un retrograde e tardo romanticismo, o prodotto di un potere classista. Ma Cuore non deve essere letto con il senno di poi.
Cuore non era un libro qualsiasi, ma il libro per eccellenza: come la Bibbia, era quasi un dovere leggerlo. Il titolo è una precisa chiave di lettura per giungere all’intento principe dell’autore: le connotazioni, i significati secondari del termine “cuore” che implicano Amore, Amicizia e Passione. Ma è soprattutto un testo che fa vivere – o rivivere – tutto quello che riguarda la scuola, accanto alla famiglia e alla nazione nell’occhio vigile della Storia.
Cuore non è un romanzo ma il diario scolastico di Enrico, scolaro del terzo anno delle elementari. È l’anno 1881-82: la scuola viene intesa come l’ingresso di un individuo nel mondo, cioè nella società. Quindi l’obbiettivo dell’opera non è solo pedagogica, ma anche etica, cioè l’individuo verrà formato non per essere solo partecipe di se stesso ma di una comunità intera. Ma rimane l’anno 1881-82, quindi questo vuol dire che l’opera si presta ad essere anche lo specchio di una scuola dell’800, autoritaria e soffocante, e che a sua volta rischia di produrre membri di una società chiusa e autocratica. Il Maestro è in realtà il Potere, che è a sua volta il Padre che preserva per se il comando e il segreto di un ordine costituito. E di questa scuola De Amicis ha opinioni divergenti, la considera ugualitaria, unifica le classi sociali, la cultura e le regioni italiane, ma al col tempo condanna tutte le istituzioni che non investono denaro pubblico per una scuola con più maestri e più pagati, per una nazione con più scuole e più studenti perché nella scuola ha sempre visto il segreto della Nazione e della sua Unità, concepita sotto l’insegna dell’alfabeto e del comune studio ( è ancora viva la nostra attenzione per la giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: https://www.letteratu.it/tag/specialeinfanzia2011/ ).
Quindi un libro per adulti e non per ragazzi, col preciso scopo di denunciare le istituzioni e di demarcare la questione sociale degli oppressi e della povertà, mitizzare la divisione di ricchi e poveri, infastidendo alcuni (forse qualche rampante capitalista) e giovando l’umore di altri (forse qualche rampante socialista), e non proprio in linea con il background culturale di allora, generazioni nate subito dopo la retorica Garibaldina e l’autoritarismo di Vittorio Emanuele II.
Ma Cuore resta un libro attuale? Lo sarebbe se cercassimo in noi qualche virtù, un po’ di bontà, e tanto coraggio da vendere. E questo senza pretendere il Bene dagli altri, ma solo scavando dentro noi stessi, facendo i conti con le domande e le imparziali risposte che la Vita ci riserva, e soprattutto schiudere in noi quella che lo stesso De Amicis amava chiamarla << virtù piccola >>.
Questa piccola virtù sembra lontana sia dalla nostra storia che dai nostri tempi. Ecco perché, qualche volta, mi vien da piangere pensando a Cuore.