Siamo sul finire degli anni ’90 negli Stati Uniti.
La Basic Books, fino a non molto tempo prima prestigiosa casa editrice di scienze umane e acquistata poi dalla HarperCollins, pubblica la biografia di Deng Xiaoping (segretario del Partito Comunista Cinese dal 1978 al 1997), scritta dalla figlia. Il libro non vale niente (su questo la stampa fu abbastanza concorde), ma viene supportato da una massiccia campagna pubblicitaria da 100.000 dollari.
Una perdita secca se non si scava più a fondo: alle spalle di questo progetto, disastroso da un punto di vista editoriale, c’era il signor Rupert Dylan Murdoch, magnate dell’informazione e proprietario delle due case editrici in questione, che all’epoca guardava alla Cina come possibile mercato di sbocco per la sua rete televisiva Sky. Questa vicenda, abbastanza nota, ci è stata raccontata da André Schiffrin in un piccolo libro dal titolo “Editoria senza editori” (Bollati Boringhieri), pubblicato nel 2000 in Italia, con l’intento di delineare l’evoluzione delle case editrici nel mondo anglosassone.
André è figlio di Jacques Schiffrin, profugo russo ebreo trasferito in Francia, dove con l’aiuto e la collaborazione di André Gide, fonda “la Pléiade”, pubblicando i primi tredici titoli. Nel 1931 la “La Pleiade” viene ceduta alla Gallimard.
Jacques Schiffrin dirige la collana sino agli inizi degli anni ’40, cioè fino a quando si trasferisce in America per sottrarsi a un probabile arresto da parte tedesca.
Ed è a New York che fonda la Pantheon Books, con l’obiettivo di pubblicare autori francesi in lingua originale. Nel 1950 Jacques muore e la casa editrice viene acquistata dalla Random House.
Dieci anni dopo, André Schiffrin, figlio di Jacques, viene assunto alla Pantheon Books. Ha appena 22 anni. È un periodo di grande vitalità per la casa editrice. Tra i libri pubblicati figurano “Il Tamburo di Latta” di Gunter Grass e “L’amante” di Marguerite Duras, e quelli di storici importanti come Eric J. Hobsbawm, Christopher Hill, George Rudé. Viene pubblicata inoltre la “Storia della follia” di Michel Foucault.
“…Scoprii il libro frugando in una libreria parigina. Sin dalla prima pagina mi sembrò di essere in possesso di qualcosa del tutto eccezionale, benché l’autore fosse per me uno sconosciuto. A poco a poco Pantheon pubblicò tutti i libri di Foucault, nonostante un pubblico molto ridotto…” (André Schiffrin).
Si tratteggia, così, attraverso la biografia di Schiffrin un pezzo di storia dell’editoria americana, storia di entusiasmi e sconfitte.
Ad un certo punto la scena cambia. La Random House, proprietaria della Pantheon, viene acquisita prima dalla RCA, poi dal miliardario americano Samuel Irving Newhouse e infine dal gruppo multimediale tedesco Bertelsmann. In un decennio a mutare non è semplicemente la Pantheon, ma l’intero mondo dell’industria culturale.
In un mercato oramai globale (alla fine degli anni ’80 cade il muro di Berlino), tantissime sigle editoriali passano nelle mani delle multinazionali dell’informazione. Agli editori, imprenditori e cittadini, subentrano i manager del marketing, ai quali spetta definire il “progetto editoriale” in base alla sua redditività e non alla qualità. Ciò significò chiedere alle case editrici di far crescere gli utili in maniera esponenziale. Dal 4% (utile logico per una struttura editoriale) si doveva raggiungere il 10-12%. Per adeguarsi a questi standard ci si doveva conformare a una razionalizzazione aziendale selvaggia. Affiatati gruppi redazionali o prestigiosi cataloghi furono smantellati e si puntò sul “libro” dall’immediato successo, sul bestseller.
Per l’editore, ogni libro, invece, s’inseriva in una logica riferita al “tempo”, era cioè l’anello di una catena di per sé significante che gli apparteneva e che rientrava in una sua “visione del mondo”. Ed era questo rapporto con la società del tempo a dare valore alla propria sigla editoriale, per questi motivi André Schiffrin chiama l’editore “imprenditore e cittadino”.
Questo lo scenario delineato da André Schiffrin nel 2000. Da allora le cose sono peggiorate.
Ci sarebbe da chiederci perché le case editrici sono così importanti per le multinazionali dell’informazione. La risposta l’ha data nel 1979 Jean-François Lyotard quando indicò nel controllo dell’informazione il nuovo potere dell’Occidente.
Contro la forzata richiesta del superprofitto e della ricerca del bestseller tout court ci sono e ci sono state voci dissonanti come quella di Klaus Wagenbach, scrittore ed editore tedesco, che disse:
“le piccole case editrici non sono popolate di esperti di marketing. Esse sono condotte da persone che fanno libri, animate dalla passione e dalla forza delle loro convinzioni e certamente non dalla prospettiva di profitti. Se i libri a piccola tiratura scomparissero è il futuro che risulta compromesso. Il primo libro di Kafka fu stampato in 800 copie e quello di Brecht in 600. Che cosa sarebbe successo se qualcuno avesse deciso che non valeva davvero la pena di pubblicarli?”
Forse queste parole fuori dal coro danno una speranza alla piccola e media editoria indipendente che per fortuna ancora c’è nonostante tutto.