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Nimiri e la rinascita dell’uomo

C’era una volta un paese abitato da animali parlanti, dove gli uomini erano ormai estinti da anni e una potente casta di Ippopotami si era impadronita di ogni ricordo che potesse legare la loro terra, a quella che una volta era stata la culla dell’umanità. Nella contrada del Nigeropia, un orgoglioso e grasso ippopotamo, stava costruendo il proprio castello intorno al quale nascevano fiori di fango e l’acqua che sgorgava dalla terra era fetida e putrida. Tra questo lerciume, c’era però qualcosa di candido e puro, che l’ippopotamo serbava nei meandri della casa: una stanza con al centro un lavandino in madreperla d’Arabia appartenuto alla nobile casata dei Damian, gli ultimi padroni del suolo e dell’aria. Mentre il brutale ippopotamo era intento a modellare la sua vasca di melma e untuose foglie di malenia, dall’altra parte della strada, a rimirar il nauseabondo nido in costruzione, c’era un gallo, di nome Nimiri. Nimiri essendosi acquattato tra le sterpaglie ed avendo visto scaricare dai mille Tacchini Grigieri, venuti dalle terre del pendolo d’oro, lo splendido lavandino, bramava ogni giorno l’idea di riportare la propria terra allo splendore d’un tempo. Il lavandino infatti aveva il potere di far sgorgare acqua pura, limpida come le trame d’orzo ai tempi dell’ultimo Damian, ma non solo, quest’acqua, gettata sul terreno avrebbe fatto germogliare delle piante di uomini ripopolando il mondo. Il gallo cominciò così a progettare, insieme agli altri Galleni, il modo in cui avrebbe potuto sottrarre il prezioso lavabo  all’ignobile stirpe degli Ippopotami. Il pachiderma però, essendo molto furbo ed avido, mise a guardia della Stanza del Lavabo un serpente che aveva fama di ammaliatore. Un giorno Nimiri, insieme ai suoi compagni d’avventura, riunì il Gran Pollaio di Gallonia e dopo quasi due lune ebbero un piano.

Era quasi mezzolù e le lune calavano verso occidente. Da quando l’uomo aveva abbandonato quella terra tutto era andato per il peggio, ogni cosa, anche il luogo del tramonto del sole, si era rovesciata e persino la luna si era sdoppiata in due più piccole. Nimiri ricordava ancora la prima volta che aveva visto la vera luna, un giorno di molto tempo prima. Quella notte, mentre il mondo girava alla rovescia l’Ippopotamo dormiva nel fango, di soppiatto Nimiri e gli altri pennuti, si appollaiarono sotto le mura di cinta. Tre erano gli ostacoli da superare: il Corvorano, un uccello grande quanto una gallina dal becco giallo e dalle piume verdi, nere ed arancioni; la piscina degli specchi, che di per sé non era difficile da superare se non fosse stato per il fatto che tutti gli animali del globo, tranne gli Ippopotami, odiavano specchiarsi e non riuscivanoo a camminare con gli occhi chiusi perché affetti da labirintite da cecità; il serpente Ipnosis, famoso per le sue doti di ammaliatore, di lui si diceva che avesse ucciso più di mille Tigri Armene senza che esse fossero riuscite a muovere una sola zampa.

I Galleni si prepararono così a dare inizio alle danze ed il primo da mettere fuori gioco era il Corvorano. Nimiri dipinse le piume di una delle sue galline più belle con i colori del Corvorano e la lasciò passeggiare sotto le mura di cinta. Appena il grosso e goffo animale si accorse di lei, cominciò a gonfiare il petto e ad affilare il becco, dopodiché si precipitò giù dalle mura e, con un atterraggio da vero signore, si lanciò al fianco di quella gallina. Non appena fu abbastanza lontano, i Galleni guidati da Nimiri piombarono in casa, camminando su un solo artiglio. Arrivati alla sala della piscina, impauriti e grondando sudando da tutte le penne, si meravigliarono della magnificenza di quel luogo e restarono col becco chiuso a rimirare i soffitti d’oro e gli intarsi di rubino e smeraldi, appartenuti un tempo chissà a quale grande uomo ed ora, nella casa di un fetido Ippopotamo che dormiva nella fanghiglia. Abituata la vista a cotanto sfarzo proseguirono verso il bordo d’oro della piscina e appena sporsero il becco al di là del limite, ebbero una tal paura a rimirarsi che tutti fecero tre passi indietro per abbandonar la missione. Nimiri però non era un vigliacco e un tempo aveva giurato a suo padre, il Grande Gal del popolo di Gallenia, che se gli fosse stata data una sola possibilità per dare all’uomo un’altra chance, avrebbe sacrificato la sua vita perché ciò accadesse. Nimiri, con le lacrime agli occhi, tornò sul bordo della piscina e schiudendo gli occhi cominciò a porre una zampa davanti all’altra. Più tempo passava, più le sue zampe diventavano deboli e lasciavano il corpo strisciare sul pavimento liscio. Quando dalla sponda opposta i Galleni videro questa scena, uno di loro, Sparlaco, decise di incitare il gallo. Più le parole di Sparlaco diventavano possenti, più quel gallo trovava la forza per rimettersi in piedi, più le parole assumevano forma, più si avvicinava alla meta. Mentre pensava di avercela quasi fatta, ce la fece. Non ci fu mai al mondo pennuto più felice di lui, Nimiri era dall’altra parte, tutto era nel suo becco, non gli restava che superare Ipnosis.

Arrivato alla soglia della stanza del lavabo, le luci erano soffuse ed un solo fascio di lucciole illuminava il pomello d’ingresso. Avanzò nell’oscurità e lentamente cominciò a convincersi che forse il serpente era strisciato nel suo letto a dormire. Mentre pensava che, per cavarsela, sarebbe bastato non fare rumore, alle sue spalle sentì un sibilo e rabbrividì, bloccandosi all’istante.

“I ssssserpenti non dormono mai, ti eri forssssse illusssso che ti avrei fatto passsare cosssì sssemplicemente? ” Cominciò quella voce senza volto.

“No, non avevo alcuna intenzione di svegliarti, qualora avessi deciso di fare un pisolino. Ma, giacchè sono qui, prendo il lavandino e vado via.”  Così dicendo, Nimiri cominciò a correre. Quando si trovava quasi di fronte alla porta, quando come un fungo che vien su dal terreno dopo una pioggia gli si impose dinanzi il massiccio serpente e vedendolo già pronto a deglutir le sue penne lo sfidò chiedendogli: “Si dice di te che tu abbia sconfitto mille Tigri Armene senza che esse se n’accorgessero. Si dice anche che tu abbia fatto cose indicibili ed impensabili. Ma saresti capace di mangiarmi senza staccarmi dal suolo, dalle zampe fino alla punta delle penne?”

Il serpente fiero rispose: “Ssssì, ciò che tu affermi rappresenta il vero, com’è vero anche che sssse volesssi, in quesssto precisssso isstante, potrei dimosstrarti che ssono capace di far quello che tu domandi. Ti assicuro che sssarebbe l’ultima cossa che vedressssti!”

E Nimiri a lui: “Se sei davvero così capace,orsù dunque, dimostralo!”. Sententosi minacciato ed affrontato Ipnosis chinò la testa e fece per avvicinarsi alle zampe, quando il gallo, con una forza che non credeva d’avere, beccò così tante volte il capo della serpe che il viscido essere rovinò in terra svenuto. Rimasto senza parole Nimiri indietreggiò lentamente verso la porta, rabbrividendo al sol pensiero di sentire alle sue spalle i sibili di quel mostro. Il gallo entrò così nella Stanza del Lavabo e, avvicinatosi quanto più in fretta gli fosse possibile, lo staccò dal suolo e scappò, ripercorse d’un solo fiato la piscina degli specchi, combattendo tutte le sue paure ad occhi aperti,  superò l’androne e le mura di cinta, guardando di sfuggita Il Corvorano avvinghiato alla Gallina che sembrava molto compiaciuta. In un batti baleno si ritrovò, seguito dai Galleni, nel mezzo delle campagne circostanti col lavabo sotto un’ala, e le risa che gli scoppiavano come fulmini sul viso. Quando si sentì al sicuro si fermò e con lui tutti gli altri che, quasi si trovassero in presenza di un rito solenne, si disposero in cerchio intorno a Nimiri attendendo un suo gesto. Il silenzio tombale crollò sulla folla, Nimiri alzò su di sé il lavandino e tutti si inchinarono dinanzi a quel simbolo di speranza. Dopo qualche istante, il gallo aprì il rubinetto del Lavandino e dalle sue fauci sgorgò l’acqua più limpida e pura che avessero mai visto. Un pulcino baldanzoso avanzò a passo goffo e giunse le ali a mo’ di ciotola, lo seguirono tutti gli altri pulcini ed anche a loro fu donata un po’ di quell’acqua cristallina. Ognuno dei piccoli getto l’acqua sul terreno arido e quando l’ultimo ebbe finito, il terreno diventò umido, ma nulla accadde.

Dopo la notte appena trascorsa ogni Galleno era stanco e tutti, dai più grandi ai più piccini, si richiusero nel pollaio, lasciando aperto il rubinetto del lavandino. Tramontato ormai il sole di quasi mezzo palmo, Nimiri si svegliò di soprassalto e, quasi impaurito dall’aver sognato quelle gesta eroiche, uscì sotto il seno degli ultimi raggi di un timido tramonto. Non appena mise piede fuori dal legno del pollaio, ancora assonnato, si rese conto che c’era qualcosa di diverso e chinando il capo verso terra, vide sotto le sue zampe, la rigogliosa erba stendersi a perdita d’occhio e nel punto dove i pulcini avevano steso la prima acqua si ergeva una grossa pianta a forma di fagiolo. La contentezza e lo stupore furono tali che Nimiri si avvicinò sempre più alla gigantesca pianta nata in un sol giorno, mentre gli ultimi raggi colpirono il bocciolo di quella verde linfa. In trasparenza due piccoli corpi d’uomo. Intanto tutti i Galleni erano usciti dal pollaio e senza proferire un suono si strinsero gli uni agli altri piangendo.

“Nimiri ma dov’è il lavandino?” pronunciò sotto voce un timido pulcino, indicando con le penne il luogo dove l’avevano lasciato prima di andare a dormire.

“Non Saprei Colan” rispose il gallo “credo che la terra si sia ripresa ciò che era sempre stato suo.” Così dicendo guardo nel vuoto e si lasciò scendere una lacrima e due parole: “Te lo avevo promesso, papà.”

La terra aveva inghiottito la linfa di cui era stata privata, generando Uomini Nuovi che sarebbero cresciuti nel rispetto della natura e di ciò che la compone.