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Erri De Luca, semplicemente un uomo

Ha sessant’anni o giù di lì, erri de luca, scritto minuscolo come piace a lui, e li dimostra tutti. Il suo viso è invecchiato, come quello di chi ha vissuto tante vite. Parla da solo, il suo viso, le sue storie sembrano sgorgate da tutte quelle rughe. Il suo sguardo è profondo, penetrante; se si guarda bene, si può vedere il fuoco della passione, quella sconfinata verso la vita, che arde perpetua. I suoi occhi non hanno età, come le storie che racconta.

Una vita particolare, quella di Erri De Luca. Non originale, come la sua ce ne sono tante. Non bizzarra, perché le manca quel tratto di leggerezza che appartiene alla categoria della stravaganza. Particolare, perché vissuta con particolare intensità. Perché cangiante, fluente come acqua che scorre. Ci sono vite picchettate, che si ancorano a un posto, a un pensiero, a un’idea, e smettono di muoversi, soccombendo all’abitudine, rifuggendo le metamorfosi; e ci sono invece vite che galleggiano leggere, sospinte dai venti, solitarie e vagabonde, mai paghe, che continuano a cambiare, o a cercare. Non per insoddisfazione, ma per un’intima esigenza di realizzazione di se stesse. La vita di Erri la vedo così: avventurosa, non di fatto, ma nell’intenzione. È lui stesso a darcene notizia, a rendercene partecipi nei suoi libri. Che non sono romanzi, ma piuttosto collette di ricordi. Frammenti di vita vissuta cuciti insieme con il filo di cotone della memoria e l’ago dell’anima, riconoscibili, anch’essi caratterizzati da quello stesso tratto di particolarità che è una tensione interiore che viene da un posto imprecisato tra stomaco e polmoni.

L’infanzia trascorsa tra la Napoli sbrindellata degli anni Cinquanta e la frugalità della vita isolana, delle barche e dei pescatori, e raccontata nel suo primo romanzo, Non ora, non qui, scritto nella maturità dei quarant’anni, si rivela fonte di ispirazione costante: sprazzi di quelle atmosfere, ricordi e sensazioni, si ritrovano spesso nei racconti di Erri; ma è solo uno dei tanti fils rouge che attraversano gli scritti di De Luca. Un altro è l’amore per la montagna: la scalata è catarsi, purificazione, aberrazione di se stesso e riscoperta dell’autenticità. Un altro ancora è l’ideale politico, vissuto non come vacua adesione ai valori di partito, ma piuttosto come spinta irrefrenabile di un intimo sentimento di appartenenza e di giustizia intrinseca, come lo si sente a quindici, sedici anni, quando il tempo vissuto è ancora troppo poco per allacciarsi alla vita, e si è disposti a morire per un ideale. Un ideale che Erri scopre proprio in adolescenza, quando, appena diciottenne, lascia la sua Napoli per unirsi allo sciame sessantottino, militando tra le fila di quello che sarà poi il movimento di Lotta continua.

È uno scrittore atipico, Erri De Luca: la sua penna scorre da sola vergando lettere su fogli bianchi come animata di vita propria. A muoverla è la spinta alla ricerca di un senso da dare alla vita, la sua e quella di chi ha incontrato durante il tragitto, quando per vivere faceva l’operaio alla Fiat, il magazziniere all’aeroporto di Catania, il muratore in Francia e il camionista in Jugoslavia. La sua è una vita piena di contrasti; ma proprio da essi nasce il seme dell’ispirazione. È ateo, Erri, ma legge la Bibbia tutti i giorni. Conosce l’aramaico, e traduce brani delle Sacre Scritture per restituirne il significato originale. A rapirlo per prima è stata la lettura, incontrata da ragazzo: la carta di cui sono fatti i libri diventa una spugna che assorbe tutto il marciume di un mondo pazzo e incomprensibile, lo digerisce, lo restituisce purificato al lettore; un “materiale isolante” dal caos esterno – come lui stesso l’ha definito – e forse anche interiore, che chiude le porte al mondo per aprire quelle dell’anima. La lettura – e la scrittura – sono passioni private, bocconi da masticare nell’intimità del silenzio. Solo uno scrittore che scrive per se stesso riesce a toccare il cuore degli altri. Erri De Luca ci riesce, mettendosi a nudo di fronte a se stesso, in maniera spontanea, non programmata, ingenua; e proprio per questo altamente autentica.

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura un pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordarsi di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.