Elvira era una bambina molto sfortunata. La sera del suo concepimento la futura mamma, dona Flor, durante il rapporto carnale col marito Camilo, provò autentico piacere, cosa che indispettì molto la Vergine addolorata. Si sa, le vergini non apprezzano che durante il congiungimento la donna si distolga dalla missione riproduttiva per abbandonarsi al godimento. Non mancò di indispettirsi anche dona Ines, la suocera amorevole di Flor. Dalla stanza più lontana della casa, rispetto a quella che ospitava il talamo nuziale, la tenera vecchietta tendeva l’orecchio tutte le sere. Attraversava spesso il corridoio per udire amareggiata le urla di piacere. Dopo essersi ritirata in un letto freddo e vuoto come i suoi lombi, non poteva che compatire la giovane sposina. Fervente cattolica, Ines non mancava di consultare frattaglie di pollo, di interrogare i tarocchi, di osservare i fondi del caffè, di interpretare gli astri. Mai una volta la matrona si avvide della contraddizione insita nel suo incedere con il rosario in una mano, il sale grosso nell’altra. Le stelle, i tarocchi, il caffè e gli orgasmi parlavano chiaro. Il frutto dell’amore consumato poche stanze più in la, sarebbe stato di certo un essere disgraziato. L’essere nacque 8 mesi e 21 giorni dopo la notte più rumorosa di tutte. Affacciati sulla culla c’erano la nonna piangente, le zie zitelle disperate, padre Ignazio avvilito, le vicine curiose e partecipanti della sofferenza, i genitori raggianti. Sciocchi quei due a rivolgere sguardi amorevoli ad Elvira.
Eppure l’adorabile anziana aveva offerto a Flor una gruccia rovente intrisa d’amore per evitare la nascita, le zie le avevano donato pozioni miracolose in grado di procurare l’aborto in pochi minuti, don Ignazio aveva assicurato che avrebbe rivolto il suo sguardo altrove, come usualmente faceva in cambio di munifiche donazioni, le vicine avevano suggerito con foga una caduta dalle scale. Flor, cocciuta come un mulo, non aveva ceduto dinanzi a nulla, aveva proseguito nel proposito di mettere alla luce quella che di sicuro sarebbe stata la sciagura della loro onesta casa. La pargoletta si affacciò alla vita sana e rubiconda. Una sola testa, due gambe, due braccia, un naso e così via. Dona Ines fu certa allora che non essendo Elvira nata deforme, la sfortuna era peggiore del previsto. Si sarebbe inesorabilmente abbattuta su tutta la casa. I segni parlavano chiaro. Un panetto di formaggio molle vecchio di solo una settimana ammuffì, la porta della cantina cominciò a cigolare se aperta e non oliata, il gallo cantò ad orari sbagliati, come sempre faceva, stavolta però peggio. Il diavolo, era evidente, si faceva beffe di loro. Ines non ne poteva più, convinse allora le vicine ad intervenire.
Manuela e Consuelo, piccole e vestite perennemente di nero e dai porri caratteristici, riempirono allora un catino di acqua bollente, l’intento era di sostituirlo a quello del bagnetto della bimba. Appena la mamma si fosse distratta, avrebbero immerso la piccina nel liquido ustionante, mettendo fine ai tormenti di Ines. Attesero sulle scale che Flor lasciasse la piccola sul fasciatoio per prendere un olio profumato. La bambina nuda, erano convinte, recava sul corpo almeno una voglia a forma di forcone. Cominciarono scalino dopo scalino a compiere la divina missione, Parche improvvisate. Ahimè all’improvviso una, non importa quale, mise un piede in fallo trascinando con se anche l’altra. Precipitarono molli, producendo un suono sordo, un solo lamento fu emesso da una delle due bocche, non importa quale. L’acqua le investì violenta, si ruppero le ossa e lessarono le carni tutto in una volta. Non sopravvissero tapine. Non era forse questa l’ennesima prova della sciagura? Seguirono giorni tristi, di lutto incessante, i poveri coniugi delle due corvine signore risero e ballarono senza sosta, di sicuro preda di un dolore isterico. Non c’era più tempo da perdere, erano le familiari di Elvira ora a dover intervenire. Fu la volta delle zie. Prepararono una mistura, le pure sorelle di Camilo, da miscelare alla pappa della neonata. Inodore, insapore, incolore, la riposero con cura in un vasetto di miele, mentre attendevano estasiate il momento del pasto della piccola. Flor cominciò a cucinare, ed essendo una donna gentile e dolce, preparò per le cognate del buon the sebbene ella non lo gradisse. Le due zie erano molto golose, per questo Flor insaporì il the con tanto miele quanto amava le sue parenti acquisite. Piombarono come sassi con le facce sul tavolo, a causa dell’ovvio errore perirono, le due donne mai toccate da uomo. Di nuovo dolore, nuovi lutti, nuovi balli e canzoni, di certo di isterismo nuovamente si trattava. Durante uno di questi baccanali il prete distratto venne investito da un carretto, se solo fosse stato un pò più attento di sicuro avrebbe potuto evitarlo. Ines non aveva bisogno di altri segnali, ora era il suo turno, avrebbe trafitto Elvira con uno spuntone di ferro e addio malocchio. Di certo il Signore era con lei. Con le mani giunte in preghiera, con appeso un rosario, con in tasca del sale, con tarocchi, frattaglie, carte astrali ed altro ancora prese a percorrere il corridoio. Muta e ghignante pregustava il finale, la sua casa sarebbe stata finalmente liberata dal maligno. “Padre nostro…occhio malocchio….Ave Maria……sciò sciò demonio forcuto io ti vedo e ti sputo…” recitava incessante. Troppi erano però gli ammennicoli ed ella inciampò, trafitta dallo spuntone morì con una smorfia di disgusto. Il paese intero la piangeva. Furono organizzate feste danzanti, le luminarie invasero la città, giovani vecchi e bambini si baciarono e risero per sette giorni. Era ovvio il dolore li aveva resi pazzi.
Elvira crebbe, divenne medico, si sposò, ebbe 12 figli, 40 nipoti, conobbe 83 pronipoti. Visse una vita piena d’amore e di gioia, senza la compagnia però della nonna le zie e le vicine. Morì a 99 anni. Non riuscì a compierne 100. Eccola infine dunque la prova che la nonna aveva avuto ragione. Di sicuro, ormai polvere da 99 anni, questo le sarà stato di gran consolazione.