<< Cos’è l’amore che non osa pronunciare il proprio nome? >>
<< L’Amore, che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare… Non c’è nulla di innaturale in ciò! >> (Oscar Wilde, durante l’ennesimo processo)
Oscar Wilde morì a Parigi il 30 novembre del 1900, all’età di soli 46 anni nell’Hotel d’Alsace, un mese dopo aver subito una delicatissima operazione a un orecchio. Ma Oscar Wilde non morì in quel giorno, no. Oscar Wilde morì del suo stesso corpo, del suo stesso Amore, della sua sfrontata voglia di vivere. Un corpo dedito a una certa solitudine, un corpo che, con brio innato, esercitava solo per pochi amici, oramai tutti appartenenti alla cerchia degli omosessuali. L’ottimismo l’aveva trucidato, la sua leggerezza squartato fin dentro il midollo, lui il generoso, lui l’impertinente, ilare e meraviglioso. Lui come il vento o la zavorra: puntuale, presente, invincibile.
Wilde morì in un’aula di tribunale quando, con suo immenso stupore, leggendo la sentenza scritta, disse:
<< Mio Dio, mio Dio. E io, non posso dir nulla? >> Venne accusato di sodomia e condannato a 2 anni di reclusione. Trascinato semi svenuto davanti alla sua propria cella non ebbe nemmeno il tempo di pronunciarsi a suo favore, ne il tempo di proferire alcuna parola per dimostrare, con pacata indulgenza – se solo gli avessero dato occasione di farlo – la sua innocenza. Ecco Oscar Wilde, ed ecco il suo corpo: prima calunniato, diffamato, linciato verbalmente, poi definitivamente condannato a rimanere chiuso dietro delle sbarre di ferro perché amò, con sano divertimento, strapazzare il giocattolino fallico di qualche ragazzo, e di conseguenza prenderlo nel didietro. Cioè nell’ano. Cioè nel culo. Tonnellate di liquido seminale fuoriuscito come da un metanodotto dalla protuberanza turgida maschile infilate nel suo retto, magari spalmate per benino sulla fronte, e già che ci siamo giù, sempre più giù, rivoli di sperma sulle gote, sul naso, sulle sue frivole labbra rosee imbalsamate di sensualità viscida e carnale.
Ecco, l’immagine che sto offrendo alle vostre sinapsi, ai vostri peptidi in questo momento non è più quella di Oscar Wilde, ma di un omosessuale qualsiasi che ama l’altro con in bocca un cazzo duro fin sopra la bocca dell’esofago. Quello che vi ho appena offerto è l’immagine di un uomo che, appena liberatosi dalla sua figura totemica e straordinaria di scrittore che indossa con piacere di giorno, arbitrariamente, liberamente, con una certa discrezione, ma soprattutto con Amore, in un albergo ad ore, di sera con luci soffuse, fa un pompino ad un altro uomo. Punto. Ecco di cosa parlava Wilde in tribunale per difendersi, ecco cos’era quell’amore che non osa pronunciare il suo nome. La sua conturbante, ambigua, naturale voglia inconfutabile e meravigliosa di essere, suo malgrado, libero di scegliersi omosessuale, libero di esserlo e di scoprirsi omosessuale, libero di scegliere chi o cosa amare di omosessuale. Lunghe distese fiorite e sconfinate praterie di solo Amore. Contro il diffamante perbenismo, contro il dissacrante conformismo e il ributtante moralismo a nulla valsero capolavori immortali come Il ritratto di Dorian Gray o L’importanza di chiamarsi Ernesto, le meravigliose e crudeli fiabe scritte in quegli anni, il suo stile caratterizzato da una grazia irriverente ed inimitabile, la sua estenuante lotta in difesa dei valori dell’Arte, della Cultura e della Dignità Umana contro una nuova eterodossia che tendeva a prevaricare tutti al mito del progresso.
L’idea che regge tutto il Dorian Gray, un giovane uomo che vende l’anima in cambio della vita eterna, è vecchia e retrograde nella storia della letteratura. Riprendendo il mito faustiano del patto del Diavolo, l’opera sembra prima di tutto immergersi in un lago di contaminazioni, intraviste quasi di riflesso pagina dopo pagina: si passa da una spiccata ammirazione per i romanzi gotici a una possibile fonte balzachiana, da Keats a Baudelaire passando per Poe – su tutti Il ritratto ovale e William Wilson.
Il romanzo ha come protagonista un giovane molto bello da cui è impossibile non essere affascinati. I lineamenti del viso di Dorian, i suoi tratti somatici, la sinuosità del corpo e l’eleganza quasi androgina della sua postura – un ibrido fascinoso e terrificante tra uomo e donna, virilità e femminismo – sono talmente superbi per bellezza da destare un interesse particolare nel pittore Hallward, decidendo di fargli un ritratto.
Nel frattempo Dorian incontra, proprio nello studio del pittore, Lord Wotton che, attraverso la sue capacità oratorie e la sua concezione dell’Arte e della Vita, riesce a diventare un punto di riferimento per il ragazzo. Dorian comincerà a prendere sul serio i discorsi di Lord Wotton, iniziando così a dare un’importanza profonda, quasi eccessiva, alla sua bellezza. In seguito ad un discorso fattogli da Lord Wotton, Dorian Gray proverà una sorta di attrazione e di invidia verso il proprio ritratto. L’idea che lui invecchierà, mentre il suo ritratto resterà fedele alla bellezza figlia del giorno stesso in cui è stato concepito, gli provoca talmente tanta indignazione e gelosia che fa una sorta di patto con il demonio: il quadro sarebbe invecchiato al posto del suo volto.
Da quel momento in poi le cose prenderanno una piega irrimediabile: il ritratto si trasforma con gli anni, l’immagine dipinta sulla tela diventa un vecchio goffo e rattrappito, la bellezza iniziale viene soppiantata dalla bruttezza e dal raccapriccio, mentre la vecchiaia che si manifesta sul quadro non intacca minimamente il suo volto. Ma la sua anima comincia a portare i segni della disfatta, il ritratto diventa il suo specchio, e dopo una storia d’amore con un’attrice che si suicida Dorian, ferito dai sensi di colpa, cercherà di celare la sua bellezza nascondendo il quadro in soffitta. Ma non potrà nulla contro la corruzione spirituale che lui stesso ha deciso, e la sconfitta morale che continuerà a tormentarlo lo condurrà infine ad un tragico epilogo.
E se Dorian Gray non fosse altro che l’ego della vita reale trapiantato nella finzione narrativa? Quell’ego sempre sussurrato e mai declamato? Davvero Lord Gray passava intere notti a fare risse coi marinai? Per quale motivo poi!?
<< Più egli sapeva, e più desiderava di sapere. Più i suoi appetiti erano saziati, e più aumentavano >>.
Che appetiti saranno mai stati questi, per essere addirittura mai sazi abbastanza e per permettersi il lusso di aumentare? Quali segreti e sfrenati peccati si celavano dietro queste torbide passioni?
Wilde offre il suo sostegno invisibile, una figura che sembra camminare al fianco dei tre personaggi le cui vite sembrano indissolubilmente legate a quelle del ritratto, una presenza silenziosa ed ambigua, una corporatura incompleta di se stesso capace, nonostante la sua essenza frantumata, di comparire in controluce e dare vigore e spessore alla storia del romanzo. Un maestro capace di unire l’incanto della sua scrittura con la riflessione dell’Arte: ha il potere di donare, trasfigurare, rendere liriche e oscure le inafferrabili immagini eloquenti della sua anima da Poeta, legata suo malgrado al destino del suo corpo e delle sue sensazioni.
Ma è nel ritratto, nella centralità del suo potere di irradiare fascino e corruttibilità, che Wilde gioca con tenace virtuosismo con il vecchio mito faustiano, trasformandolo in una complessa metafora di fine secolo: cos’è l’Uomo senza la sua Anima e senza la sua Arte? Un angolino punitivo della creazione? Spudorato pulviscolo nell’Universo o il bagliore dell’Universo stesso? Wilde ci fa intravedere quanto questa favola riesca ad allacciare assieme Arte e Vita, pulsioni di Morte e di Rinascita, Verità e Menzogna, Autentico e Falsificato, Privato e Pubblico, Eros e Thanatos. Il ritratto di Dorian Gray diventa il commento terrificante sulle sorti del secolo e testamento spirituale dello Zeitgeist di un’epoca intera, celebrando la propria consumazione sul volto vecchio e martoriato del ritratto, effige della decadenza e della fine.
Il dipinto vuole rappresentarsi come non soltanto la coscienza di Wilde, ma anche la coscienza di ognuno di noi, ed unico testimone e riparatore delle nostre colpe. Wilde non ha fatto altro che descrivere un mondo in cui regnano sovrane vacuità e faciloneria, il materialismo lussureggiante e l’apatia. Ma comunica come sia importante, indispensabile per l’Essere Umano, la contemplazione della Bellezza, il cui compito diventerebbe un’impresa davvero ardua se non avessimo la capacità di esprimere le nostre proprie sensazioni, i nostri più reconditi desideri.
<< In Dorian Gray ogni uomo vede i propri peccati. Quali siano i peccati di Dorian Gray nessuno lo sa. Li ha commessi colui che li trova. >>
Dalla prigione di Reading – da cui nascerà l’altro capolavoro immenso, La ballata – un Wilde ormai umiliato si definì come colui che era stato in simbiosi con la cultura della sua epoca. Ma i suoi contemporanei non compresero mai le sue reali intenzioni, di quanto fosse importante per lui l’esistenza di un individuo e della sua volontà d’esistere, della sua sacrosanta voglia di identificarsi attraverso quel sentimento senza cui l’Arte probabilmente non esisterebbe: l’Amore.
Quell’Amore senza nome, che impetuosamente nasce nel petto degli uomini, è stato perseguitato fin dall’inizio dei tempi, fin dagli albori dell’Umanità. Quell’Amore, che Wilde non ha mai osato pronunciare se non raccogliendo con le proprie mani, come una madre che nel suo grembo materno adagia dolcemente suo figlio, il pene caldo e violento dell’altro, venne impalato, squartato, decapitato. Wilde avrebbe impresso i suoi occhi a quell’Amore accecato, il suo organo a quell’Amore evirato, la sua stessa pelle a quell’Amore arso vivo. Wilde si sarebbe sostituito a tutti gli Amori impiccati e lapidati, a tutti quelli deportati nei lager o nei gulag, a tutti quelli incarcerati, stuprati o torturati, a tutti quelli perseguitati e che hanno sentito il loro Amore come una colpa, come una condanna, come un crimine. Avrebbe curato Amore da tutte le patologie, e nel nome di un Dio ingrato da ogni peccato.
<< L’amore è una cosa più meravigliosa dell’arte. >>
A un’amica, con affetto.