Ti si attorcigliano le pudenda vorticando per Mexico City… Ostentata dalle sgommate del nevischio nascosto dietro la palla di fuoco: Oh Jack Kerouac grandissimo figlio di puttana, nipote del libro azteco firmato da tua madre al cospetto di lupi sudamericani infatuati del tuo finto riso. Ogni “Storia” si lega alla spontanea prostrazione del tuo orbo doppione dinanzi alla giugulare recisa del pesos imbevuto di sangue di luna. Luna intimidita dalle strofe del Nostro Purgatorio salmodiato dalle sillabe-monche di una pioggia umida pressoché similare al lucore di chi non baratta sogni con la puzza di plastica arricciata… sotto il cuscino. Sotto il cuscino la probabilità Mathesoniana t’offre una pulsantiera… rilancia con una strofa: Mexico City e il refrain senza stop, e la biancheria intima assonnata all’interno di ipotetici cubi di ghiaccio dispersi in litri gassosi di Jack Daniel’s, e il buio senza siepe che getta ombra perché I figli-delle-strade-d’uragano innalzano, come selvaggina letteraria, lavori di Faulkner al Signore della Rivalsa;
I sogni di Bill: snelle ragazze in kimono Sottili-di-seta blu, mantello di garza sottile, lungo, che fa veder tutto, Distese, semisedute, A fumare da lunghi tubi In cui di tanto in tanto Un inserviente mette roba, In un fornello centrale, E mentre continuano a fumare Un inserviente spruzza gli occhi di polvere di cipria E loro sbattono le palpebre di gioia Poi, tornato nelle Tombs, Lui fuma in cella E il fumo è diventato Canti di gente che svanisce E ricompare col fumo e un tizio che passa il pane Lo salta-
La ragione della luce sul soffitto: la Non-Ragione dell’istantaneo rifiuto di luminosità del satellite, le bestie del deserto mangiatrici di pepe nero, Lowell ingrassata oltre la finestra fresca di vernice bianca: Mexico City tra la branda del secondino sordo ed un rito giudeo appuntato nel Libro Dei Sogni. Bill ed i suoi impiccati, io e le monete nelle bocche serrate dei dipartiti.
Mexico City.
178a strofa
Dà la colpa all’intelligenza- la ragione, no, non la maledetta ragione, la conversazione sul tempo- la Chicago messa giù leccainculo bruciata chi ha impedito la salvezza, e fatto- l’errore- e detenuto il sospeso e perso e fatto perdere senza nulla sapere- Cosa seppe la colpa? Chi fu a incolpare? Chi sta cercando di buttarmi fuori Chi sono io? Esisto? ( comunque non esisto neppure)
Una gola fremente di mentina sciolta, un cantante-gatto accampato nei tubi idraulici che sfiatano, ed un cervello pazzo che si gratta la ragione! Buddha sveglia! Solomon sveglia! Bill ammira lo sperma dell’impiccato. La gente perde la testa, Mexico City perde donne nella bocca dell’inferno: cascano e Tonf… paradiso come inferno ed inferno come paradiso!
Adesso si allontana la possessione kerouacchiana: Labbate ora nuda proprietà; prima, sotto il dominus-jazz Jack Kerouac.
Come post-introduzione, trasalgono dalla Mexico City del mio animus le parole della Pivano: “ questo scrittore che odia il corpo”.
Eh si… Kerouac si scopava Mexico City, non solo con il suo fallo… altresì con la violenza fonica potente e con un free jazz degli oggetti, dell’ambiente, spurio di elementi costitutivi… affinchè fosse tutto Kerouac: Luna- Kerouac, Figa-Kerouac, Marciapiedi- Kerouac, Blues-Kerouac, Morte… Kerouac.