È difficile parlare di Thomas Pynchon. Molto difficile. Se non fosse per la sua natura vacua e restia, per la sua figura mutevole che non trova alcuna fissa dimora spazio-temporale, situata in un non-dove della realtà, ai margini del mondo come un’effimera ma meravigliosa immagine astratta, forse non starei a gongolare i neuroni cercando un’idea concreta del nostro, una sintesi perfetta di ciò che è, e di ciò che sarà. Uno spettro del mondo, non l’ennesimo, essenzialmente una figura totemica e aerea, che si nebulizza, come un gas che rimane nell’aria senza che faccia sentire la sua pesantezza, la sua consistenza.
Oggi le periferie dell’Occidente sono discariche umane: il “Fantastico Sistema” riversa sulle popolazioni del “Meraviglioso Sud” del mondo residui e scarti del benessere, ed ogni surrogato marcio della catena “compra-usa-getta”. La società dei consumi genera oramai lo stato delle cose, cioè in che stato, in che modo debbano vivere tutte le cose del mondo: c’è chi produce petrolio per il denaro, chi denaro per il petrolio, chi ricorre agli scarti del petrolio e di quel denaro per sopravvivere, chi agli scarti di quest’ultimi, e cos’ via, sempre più giù, fino all’ultimo piano del Meraviglioso Sud, dove si lavora, si produce, e si resta poveri. Sempre più poveri. Ecco allora dov’è che si va ad insinuare Pynchon: lui è un marginato che si aggira per le discariche della letteratura collezionando articoli di riviste scientifiche, bollettini militari, ricette mediche, sceneggiature rifiutate da Hollywood, copioni teatrali dimenticati, rimasugli di antiche leggende e vecchi stralci di giornale, restituendocele nella grandiosità delle sue pagine.
L’Arcobaleno della Gravità è la summa e la sintesi del romanzo postmoderno. Il testo mette in luce, attraverso una fitta rete di richiami, le connessioni occulte della realtà e si nutre di ogni aspetto della cultura popolare: il jazz, il romanzo giallo, il pulp, la fantascienza, il fumetto, la musica, le guide turistiche, i B-movie, senza contare gli innumerevoli contenuti a carattere scientifico-divulgativo: fisica, statistica, cibernetica, elettronica, teoria dell’informazione, biologia, chimica, neuro – fisiologia, balistica ed elettronica. In ultima istanza, la Tecnica e la Tecnologia assurgono ad autentiche protagoniste della scena.
Le trame si accavallano, si contrappongono, compenetrano: la nostra realtà, pare voglia dirci Pynchon, è il frutto di trame e pianificazioni che, occultamente, fungono da meccanismo della Storia. Cioè una Storia così come ci è pervenuta, e un meta-Storia, ciò che si pone oltre il conoscibile per mezzo dei soli sensi, che è causa di tutto. La nostra sorte non è in balia di eventi storici determinati e che conosciamo o conosceremo, ma fenomeni che ontologicamente non scopriremo mai e di cui mai risolveremo il mistero. Quindi una sorte che in realtà è in mano a qualcuno…
Pynchon scrive mosso da forze contrastanti dovute da una frattura: da una parte la consapevolezza della fine del romanzo, dall’altra la necessità di raccontare. Pynchon è animato dalla necessità di narrare storie, per questo ne affastella centinaia, forse migliaia, una sull’altra, spinto da una convinzione: la sua diventerà l’opera definitiva, dopo non sarà più possibile dire qualcosa, continuando a farlo come lo si era fatto fino ad allora. Ed ecco che il romanzo, concepito nel segno di un’ambizione scandalosa, assume la forma di un catalogo: un elenco di personaggi, di oggetti, di luoghi, di nomi intessuti in un’opera complessa al punto da rasentare l’impossibile, sorretta da slanci mistici e irrimediabilmente attratta dalla pornografia. Un’opera unica, un capolavoro smisurato e incommensurabile, tragica e grottesca come l’ambiguità eroicomica della vita, che coinvolge il lettore in un viaggio psichico, intrappolandolo in una gigantesca massa coagulata di parole e significati, attorno cui danzano rune e simboli matematici, un’enorme stella in procinto di esplodere in una supernova d’informazione. Molto altro ci sarebbe da dire su quest’opera geniale e sul suo autore, ma un altro libro non basterebbe per riuscire nell’impresa. Alla fine di questa folle ragnatela di significati emerge un’unica certezza: la negazione di ogni speranza in un destino di distruzione. In effetti, chi può dare torto a Pynchon? A prescindere da chi ha vinto, dopo la Bomba Atomica, i Totalitarismi e gli efferati Genocidi del secolo scorso, abbiamo perso per sempre la nostra innocenza.