Rousseau e il Vangelo hanno avuto un grande e benefico influsso sulla mia vita. Rousseau non invecchia.
E nemmeno Tolstoj invecchia. Anzi. È come un albero sempreverde, meglio ancora: una di quelle querce, imponenti e immortali, che accompagnano gli uomini per generazioni, senza mai mutare d’aspetto, rimanendo saldamente ancorate con le radici al terreno.
Il terreno per Lev Tolstoj era la fede in Dio. Una fede travagliata, e faticosamente conquistata.
Le radici sono quelle della spinta costante alla ricerca. Ricerca della perfezione, ricerca della verità.
Scrittore e romanziere, ma anche filosofo, pedagogo, educatore, teologo e attivista sociale, Lev Tolstoj visse tutta la sua esistenza nella costante tensione verso il miglioramento di se stesso e del mondo in cui viveva. Umanista nel senso più essenziale del termine, nutriva una profonda fiducia nella natura “divina” dell’umanità, nelle cui declinazioni più umili – vecchi, servitori, bambini – ravvisava l’espressione più pura della presenza di Dio. Ispiratore della politica della non-violenza professata dal Mahatma Gandhi, precursore di Freud per la spiccata capacità di osservazione e identificazione empatica con l’Altro, Tolstoj è stato e rimane uno dei più grandi romanzieri non soltanto dell’Ottocento romantico, ma della storia della letteratura intera.
Nato da una famiglia dell’antica nobiltà russa, il giovane Lev Tolstoj (1828-1910) resta precocemente orfano di entrambi i genitori: saranno alcune zie a prendersi cura di lui, grazie all’aiuto di due precettori – uno francese, l’altro tedesco. La sua giovinezza sarà tempestosa e contrastata: i critici la descrivono come animata – ma forse sarebbe meglio dire: dilaniata – da un conflitto interiore che, se da un lato condannava il Tolstoj uomo alla perpetua insoddisfazione di sé, dall’altro fungeva da impareggiabile molla alla creatività e quindi alla scrittura, intesa come strumento di introspezione (di sé e degli altri) e come mezzo di comprensione della realtà. Una realtà che Tolstoj non mancò mai di analizzare fin nei minimi dettagli, esteriori e interiori, prosaici ed emotivi, da convinto naturalista (quasi un pioniere dislocato del Verismo nostrano) quale era, con un’acutezza dello sguardo che nessun altro narratore può tutt’oggi vantare.
Autodidatta negli studi (non porterà mai a termine l’Università), dedito alla vita mondana e al gioco d’azzardo, negli anni giovanili Tolstoj si dedicherà anche e soprattutto alla lettura, forgiando quella che successivamente sarà la sua poetica, egregiamente esposta tanto nei suoi capolavori letterari quanto nei romanzi brevi, nei saggi e nei racconti. A ventitré anni scrive il primo racconto, Infanzia, pubblicato un anno dopo (1852) sulla rivista Il contemporaneo; in quello stesso anno (1851), sulle orme del fratello Nikolaj, parte per la guerra di Crimea, ma si rende conto ben presto di non essere avvezzo all’arte militare: la morte, la ferocia, la devastazione della guerra debilitano l’animo compassionevole e tollerante del giovane Tolstoj, fornendogli peraltro numerosi spunti di riflessione sull’assurdità della violenza gratuita tra gli uomini, a prescindere dai nazionalismi; spunti che troveranno espressione nella trilogia dei Racconti di Sebastopoli (1855), oltre che in alcune opere minori, su cui la censura patriottica non mancherà di operare tagli e revisioni, per non infangare l’onore dei valorosi ufficiali russi.
Gli anni successivi saranno estremamente prolifici da un punto di vista letterario: ai Racconti di Sebastopoli seguiranno numerosi altri lavori che, nell’arco di nove anni, condurranno, come un sentiero tracciato, alla pubblicazione della prima parte del sommo capolavoro tolstojano, Guerra e Pace, completato in sette anni. Saranno anni di relativa calma per l’uomo Tolstoj: spentisi i fuochi d’artificio della dissipata giovinezza, a trentaquattro anni (1862) Tolstoj sposerà la diciottenne Sof’ja Andrèevna, da cui avrà ben tredici figli; inoltre, scosso anche dalla prematura morte del fratello Dmitrij, inizierà a dedicarsi alle politiche sociali, interessandosi – e cercando vanamente di migliorare, come accadrà anche a svariati personaggi dei suoi romanzi – alle condizioni di vita dei suoi contadini.
L’impegno sociale sarà una delle tematiche “forti” nell’impalcatura del suo pensiero: da Guerra e Pace a Anna Karenina, avamposti cruciali dell’immensa produzione tolstojana, l’opera di Tolstoj sarà sempre permeata dall’interesse vivo per le problematiche sociali e dai temi universali di uguaglianza, giustizia e verità; un cammino volto prima di tutto alla ricerca di se stesso, che troverà risoluzione nella crisi, e successivamente nella conversione mistico-spirituale che sarà alla base dell’ispirazione per l’opera della maturità, dall’evocativo titolo di Resurrezione.
Candidato al Premio Nobel per la Letteratura nel 1901, scomunicato dal Santo Sinodo per le sue idee ritenute anarchiche, corrispondente di Gandhi dal 1908, e osannato nel mondo da migliaia di seguaci del Tolstoismo, nell’autunno del 1910 un ottantaduenne Tolstoj scapperà di casa, oppresso da una vita familiare ormai fatta di continui litigi, per cercare, non ancora pago, la sua strada verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Sorpreso a metà strada da una polmonite, morirà il 20 Novembre dello stesso anno ad Astapovo, nell’Oblast di Lipeck, Russia Europea, circondato da una folla amici e sostenitori del Tolstoismo, che Pasternak descriverà come “giovani abeti”.
Ed è così che mi piace pensare a Lev Tolstoj: l’immensa quercia della letteratura, circondata da uno stuolo di giovani alberi che alle sue fronde si nutrono, alla sua ombra trovano ristoro, e dalla sua potenza evocativa traggono tuttora ispirazione.