Sono ancora un adolescente: l’arte viaggia nelle fibre cerebrali per ormeggiare nella vertiginosa febbre delle mani, contorni di una secca e stanchevole pennellata saldata nel mio oceano… lontano dal REALE-MONDO NORMALE… irragionevoli lamentele della massa che comiziano circa la blasfemia della mia trasposizione originale di Valls: la mia realtà è un’opera “per relationem” di Dino Valls. E se la morte abbracciasse l’idea dell’arte? E se gli osservatori della “mia arte” morissero senza comprensione dell’IDEA artistica solitudinale?
La camera è d’acqua riempita; della filosofia astratta i polpastrelli scannano la tela: filosofia nel dipingere, filosofia nell’eclissarsi in un mondo acquatico, filosofia nelle grida della desolazione inumana dell’artista abbandonato. “ Ma fanculo! Il microcosmo dell’incomprensione è di mia proprietà!”
“ Sarà semplicissimo. Dipingi il loro contrario, gli farà da specchio e capiranno come sono veramente”.
“Loro sono… “normali”…”
“Bene: allora dipingi qualcosa di clamorosamente folle. Ma ricorda, devi riuscire a illuminarli.”
“ Qualcosa di clamorosamente folle… qualcosa di clamorosamente folle… La vera vertigine è l’assenza di follia diceva Cioran… qualcosa di clamorosamente folle…”
Con questi pensieri Godo sfuma via dal sogno, confondendosi dentro le parole, il paesaggio sparisce, rimangono solo i suoi ricordi, gli occhi chiusi, il buio. All’improvviso si aprono gli occhi, il busto si alza di scatto dal letto: è giorno.
Godo non disdegna l’anti-compassione per il pasticcio della Trinità: caccia l’accettazione cieca dell’UOMO NORMALE per elevarsi, (per trascendenza sovrannaturale), in un sistema solare-alternativo dove il quadro è una pertinenza, un legamento necessario del corpo. Allora cosa far echeggiare nella miseria di una platea di sordi? UN VAFFANCULO con pulizia giustificativa da artista rimbaudiano; da “cacciato- dal- paradiso – miltoniano”; da fedele pittore degli incubi di Bosch; da adolescente nabokoviano… ma nella pars “contraria”: lui dominus, gli altri solo succhiatori del suo membro-poetico!
Quel cielo non è un cielo, è la superanima di Emerson, la supercoscienza di Aurobiondo, al cospetto della quale, il velo di maya dell’uomo comune, non può che rimanere cieco, sordo e muto dentro il vuoto assordante che scorre opaco tra gli specchi della vita. E dei suoi labirinti esteriori, che tanto disorientano l’autenticità del Sole, forse il vero Dio, che sia mai stato adorato ed esistito veramente. Se il sole fa pensare a quello in Water boy di Alexandroff, il paesaggio generale ricorda Green hills della Palubinskas. Lo sguardo della donna rimanda invece a quello di Insania di Dino Valls, ma quella di Godo, è una donna ancora più pazza. E sicuramente più bella: una donna per la quale… si può perdere la testa.
Io, nella mia labbatiana insania patteggio per Godo e Giuliodori: seduti entrambi alla destra della schizofrenia di Bosch, ma ingravidati, nella poetica, dalla ribellione “di specchi” di Kafka. Rimbaud in tutto questo non sputa sulla ribelle struttura immaginifica del duetto Giuliodori-Godo: un romanzo anti-conformista!
E con questo io battezzo, ”Godo D’Arpeggi”.
Benedetto romanzo filosoficamente underground. Libricino da portare nelle chiese della propria realtà. L’unica.
La sola.