– Sacramento!, signori – disse il ripetitore – lasciate stare papà Goriot, e non ce ne fate fare un’indigestione; è da un’ora che ci è servito in tutte le salse! Uno dei privilegi della brava città di Parigi è quello di poter nascere, vivere, morire senza che nessuno vi faccia attenzione. Approfittiamo perciò dei vantaggi della civiltà. Oggi sono morte sessanta persone; vi volete proprio impietosire delle ecatombi parigine? Se papà Goriot è crepato, tanto meglio per lui! Se lo adoravate, andate a vegliarlo, e a noi lasciateci mangiare in pace.
Oh!, sì – disse la vedova – meglio per lui che sia morto! Pare che il pover’uomo abbia avuto parecchi dispiaceri, durante la sua vita.
Scritto nel 1835, Papà Goriot è considerato il capolavoro di Honoré de Balzac (1799-1859) e rientra nel complesso e ambizioso progetto della Commedia umana, il grande “libro della giungla sociale”: 137 titoli, 95 romanzi e più di 2 mila personaggi! Scopo dell’autore era racchiudere e descrivere in modo esaustivo la società che lo circondava; in effetti, in questi scritti c’era già tutto: uomini con tre mazzi di carte nella scarpa, donne capaci di valutare l’entità di un patrimonio a colpo d’occhio, prostitute che mascherano il proprio stato sociale ostentando classe e bei sentimenti e gran dame che avendo classe e bei sentimenti, parlano come le prostitute agiscono. Un’epoca in cui la parola d’ordine è arricchirsi con tutti i mezzi possibili, un paese dove i giovani finiscono col ridursi a un conto spese vivente: banchieri, gigolò e…ministri! Semplici e dolorose sono le facili associazioni che quest’opera consente; una società, quella descritta da Balzac, che ha davvero troppo in comune con la nostra, con quei vizi umani troppo umani che siamo abituati, nostro malgrado, a conoscere.
Papà Goriot, dunque; non è un caso che il nome del protagonista sia in seconda posizione, preceduto da quel papà che mai, come in questo caso, pesa e suona come una condanna! In una triste pensione parigina vivono, con altri squallidi personaggi, uno studente povero ma ambizioso e il vecchio pastaio Goriot. Quest’ultimo ha due figlie, Anastasie e Delphine, che ama in maniera cieca e fanatica; proprio quest’amore patologico del padre verso le figlie ha portato alla rovina di Goriot, che è caduto in disgrazia per assicurare loro una vita agiata e uno stato sociale molto superiore al suo. Le due donne, per nulla riconoscenti e troppo prese dai loro capricci, vanno a trovare il genitore solo per ottenere soldi, approfittando di quell’amore ai limiti del patologico.
La storia di Goriot si intreccia con quella di un giovane studente, Eugene De Rastignac, che tralascia gli studi di giurisprudenza perché troppo attratto dall’alta società parigina e il signor Vautrin, il simbolo negativo della società borghese, il disonesto per eccellenza.
Balzac tratta in maniera eccellente il tema dell’amore paterno, che troppe volte appare patologico perché cieco e incurante della vera natura delle due figlie; ma altrettanto chiara è la critica alla società borghese e aristocratica del suo tempo, in cui tutti obbediscono al solo Dio denaro, demonizzato come forza negativa che corrode gli affetti.
Sarà proprio l’amoralità e il cinismo delle due figlie di Goriot a portarlo alla morte, dopo una delirante agonia nel corso della quale egli crederà di vedere al capezzale le sue adorate ragazze, che sono in realtà a un ballo…
Soltanto lo studente accompagnerà papà Goriot nell’ultimo viaggio al cimitero di Père-Lachaise; sarà proprio la morte del vecchio pastaio che toglierà al giovane ogni fiducia nella forza dei sentimenti e lo porterà ad accettare le spietate leggi della capitale, prima fra tutte la corruzione morale.
Emblematica, a tal proposito, è la sfida che il giovane lancia a Parigi, dalla cima del cimitero: “A noi due adesso!”