Picco della Desolazione: Buddha, mani in aria a fregare gli indios che picchettano il Buio beat, detriti di tè Lipton sommessi sulle ginocchia ( OH NUOVO MONDO! Kansas City è lontanaaa!), musiche di ragazzi negri infilate tra le feritoie degli stecchini cinesi noleggiati nella dignità buia di Bull. Saluti tra insani venti, SLAM… pentole fantastiche in un crash fantastico origliano nel Nirvana-Non-mondo che seleziono: tasto su tasto, stelle in degradazione colte come uva secca, odore di freddo, calzoncini corti retaggio di una civiltà: Frisco è lontana e il dolore è prossimo al lume a petrolio, semispento!
Bull lungo tanto quanto la branda, io lungo tanto quanto i negozi disapprovati da sogni sacri! Fuggevoli neon traslucidi illuminati dal mio piscio dimenticato “lì”: nel processo di civilizzazione della montagna corrucciata un uccello è una scimmia, San Francisco si ritorce, come un confetto minimale, per confondersi nella MUSICA del becco. E poi strade, picchi, piedi, bambini con mollette ma ora “non-bambini”, porte che si aprono e si chiudono, abiti, brivido, mistero! Un muro di ectoplasma, di pinta di whisky, lo stesso imperfetto jazz-goduto nell’appartamento di Irwin! Ehi, Hi, Fuck You: vaffanculo, impreciso saluto al triste-mondo, benvenuto, bentornato al Maestro Solitudine. Blake nella penna di Irwin, bugia sul dito confuso col naso: ma qui procioni e bestie selvatiche non pregano! Ma qui l’essenza del Deserto del Tao non è compresa! Quanto ai fulmini? Fulmino una tartaruga e disteso a pancia in giù l’anima si fa stomaco: è stomachevole l’occhieggiante luna d’argento con bave di bruma fredda, e i tetti incatramati color inchiostro-notte che odoravano forte come incenso.
Fumo di legna, fumo di foglie, pioggia di fiume…
La spaventevole segretezza dei vicoli tra le case a Lowell le prime sere d’autunno, come se sulle sorelle là dentro piovessero degli amen- indiani nelle bocche degli alberi, indiani nella suola del terreno, indiani nelle radici degli alberi, indiani nell’argilla, indiani là dentro- Qualcosa passa saettando, non uccelli- Pagaie, lago illuminato dalla luna, lupo sulla collina, fiore, perdita- Catasta di legna, fienile, cavallo, ringhiera, siepe, ragazzo, terreno…
… Il cielo tutto argento neve e ghiaccio esala nebbia di gelo, presto sarà finito…
E l’autunno? Si, “un segreto nella mente del Buddha da me ricreata su questo picco”: l’autunno! Tutto è un “ E’ ”, tutto è un “ov”, tutto è la barba di Irwin, tutto è la sua finta forma ebrea, tutto è lo stile ipertrofico ( nella poesia… Cazzo la poesia nell’altura… respira contro il dialogo umano tra me e le guardie forestali!), tutto è l’orrore inscatolato nell’annottamento. Mio padre che mi manda affanculo dalla bara… porte aperte, rigidità del morto, orrore senza fondo…
Mi dimetto dal tentativo di essere felice. E’ tutta una discriminazione comunque, valuti questo e svaluti quello e vai su e giù ma se fossi come il vuoto ti limiteresti a fissare nello spazio e anche se in quello spazio vedessi gente con la puzza sotto il naso ostentare le loro varie pellicce o armature preferite con facce spetenfie e seccate sulle panche di questo unico traghetto diretto all’altra riva staresti pur sempre a fissare nello spazio perché la forma è vuotezza, e la vuotezza è forma…
Nel pozzo Poe scosta il pendolo, io dal Picco sollevo quest’ultimo… Kerouac con “Il Pozzo e il Pendolo” nella sua cogitazione- beat. Ma la felicità ha un masso al collo… e sprofonda nel ragionamento limpido della solitudine.
La solitudine di Jack Kerouac.