Poche opere nella storia della letteratura possono essere annoverate tra quelle che hanno plasmato l’immaginario dell’uomo. Tra queste, c’è il libro di gran lunga più celebre del Duecento italiano: “Il Milione”.
Tutti noi conosciamo, almeno di nome, il capolavoro di Marco Polo. Pochi, invece, sono a conoscenza del fatto che il titolo originale dell’opera era Le divisament dou monde (“La descrizione del mondo”), fedele trascrizione in lingua d’oil (l’antico francese) del racconto orale di Marco il quale, fatto prigioniero dai genovesi, incontrò durante la triste esperienza Rustichello da Pisa, che si dilettava a scrivere romanzi in prosa proprio in antico francese.
E – supponiamo – pochi sono coloro che si spiegano il titolo Milione, che deriva dal soprannome di “Emilione”, proprio della famiglia Polo. È questo il titolo che compare nella più antica redazione toscana, risalente all’inizio del Trecento e adottata nelle moderne stampe italiane.
Ppoi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino al dì d’oggi, nè cristiano nè pagano, saracino o tartero, nè niuno huomo di niuna generazione non vide nè cercò tante maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo
Il prologo afferma chiaramente come l’avventura del nostro protagonista sia del tutto eccezionale. Marco, partito insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo, mercanti di professione, giunge nel continente asiatico intorno al 1271, assumendo con il tempo una posizione di prestigio all’interno della corte del Gran Khan, imperatore di gran parte dell’Asia.
L’abbiamo detto e lo ribadiamo: “Il Milione” di Marco Polo ha contribuito in maniera determinante a plasmare l’immaginario collettivo, “creando”, di fatto, l’Oriente, o quanto meno l’immagine che di esso è giunto all’Occidente. Per secoli e secoli, e forse ancora oggi, ha resistito quell’immagine di un mondo diviso tra realtà e immaginazione. Un universo vivo, pullulante, “colorato” e popolato di figure cavalleresche, mitiche, leggendarie.
Proprio per questo è quanto mai arduo ascrivere l’opera di Marco Polo ad un genere preciso: cronaca, trattatistica storico-geografica, diario di viaggio (quest’ultimo era particolarmente in voga nel Medioevo).
E da questo mondo sfumato e inafferabile, dalla sovrapposizione dei confini tra realtà e immaginazione, scaturisce un messaggio universale, che va ben al di là dell’indiscusso valore artistico dell’opera: è l’invito alla conoscenza del “diverso”, il trionfo del relativismo culturale, che implicitamente condanna l’antropocentrismo di matrice occidentale e strizza l’occhio al vasto orizzonte della civiltà umana.
Con Marco Polo si è plasmato forse non solo un continente, ma l’uomo moderno.