In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.
Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.
Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.
Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.
Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.
I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.
Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.
Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.
Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata
di un arco teso.
Boris Pasternak
Pasternak è poeta fine, orgogliosamente umano, silente che accoglie qualsiasi favola passata spolpandola fino a corroderne il suo significato, il succo sanguigno. L’autore sovietico, moscovita nato nel 1890 da padre pittore e madre concertista, intimi amici di Tolstoj, si ritrovò in un periodo storico dove l’arte era pervasa di movimenti di ricerca, d’innovazione, il futurismo su tutti (non solo nella letteratura ma proprio nelle zone sovietiche la creazione era alla ricerca inquieta del “nuovo”); per conoscere meglio i movimenti poetici di Pasternak ed i suoi semplici versi pensosi ma scorrevoli bisogna sapere in primis che il giovane si laureò in filosofia a Mosca, seguì comunque numerosissimi corsi universitari di filologia, cotruendo così le basi culturali del suo poetare classico e figurativo, ultraterreno e carnale, celando elegantemente il suo essere cervellotico con immagini di preziosa natura e umanità sonnacchiosa ma vivente.
In questo componimento la “passione” è il motore delle attività umane, ma non credo si limiti a parlare della sola passione sensuale, coglie che in tutte le cose terrestri si affronta una befarda dicotomia (“Giuoco e martirio….”) la quale pone la sua enorme mano sulle nostre teste in tutte le azioni, in tutte le visioni, in ogni stato o disposizione dell’animo. Ma la “passione” stessa deve avere una radice, deve nascere da qualcosa: “…Dedurrei la sua legge, il suo cominciamento,…”; e qui il suo essere filosofo fa bella mostra di sè, il cominciamento è proprio parola del lessico della dissertazione filosofica che indica il principio di qualcosa, il primo vagire e le sue cause.
“….voglio dunque scorgere le cause del motore umano, udire il primo scoppio silenzioso, scorgere la prima scintilla che brucia chissà quale sangue e di quale colore sia…”