Questa è la storia di un piccolo uomo, uno come tanti, di quelli che ne nascono continuamente in ogni parte del mondo.
Lui nacque da questa parte, dal basso, dove era difficile raggiungere l’alto. Venne alla luce nel tempo in cui i contadini non riuscivano a campare di agricoltura e vendevano tutto il sudore di una vita per poche lire. Anche i sogni erano venduti per poco, ricominciare a sognare costava troppo e i valori erano sempre meno.
Nacque coi piedi per terra. Quando venne scaraventato qua giù l’impatto non fu dei migliori: la prima cosa che notò fu l’ipocrisia della gente, tante facce ridicole quanto false che lo ritenevano bello e somigliante a qualcuno della famiglia. Diede uno sguardo intorno, l’unico volto confortante era quello della mamma; in quell’istante sentì che quella donna sarebbe stata la persona più importante per lui, fondamentale per la sua esistenza. Gli venne assegnato il nome del nonno, il padre ne era tanto fiero da perdere per qualche istante la sua naturale aria imbronciata.
I primi passi erano veloci, gli anni dell’infanzia sembravano infiniti, ma cresceva in fretta col suo sguardo intelligente, che gli consentì di farsi strada tra i primi compagni di vita.
Il primo giorno di asilo si sentì abbandonato, avrebbe preferito starsene a casa invece di avere a che fare per la prima volta col rumore della gente. Odiava il frastuono, figurarsi quello di bambini sghignazzanti che si insultavano a vicenda. Ma li osservava con interesse. I più cinici avevano sempre il sopravvento su quelli con poca personalità, che subivano, pur cercando di rispondere con parole poco efficaci, fino a rimanere isolati. A lui facevano pena i deboli, magari lo era anche lui e per questo preferì non confrontarsi con gli altri. Intuì che regnava l’egoismo e chi non riusciva ad emergere era destinato a rimanere un perdente, così imparò a riflettere, perdendo l’ingenuità infantile. In quell’ambiente erano tutti dannatamente occupati a litigare su chi avesse il papà migliore per pensare a lui, tutti tranne un tipo che gli rivolse la parola e gli propose di giocare insieme. Sembrava pensarla al suo stesso modo. Era forse quella l’amicizia?
Da casa sua non si vedevano altro che montagne da scalare, ma oltre le salite si scorgeva ancora la luce delle stelle. Ne era innamorato anche se sembravano allontanarsi sempre di più. Le stelle cadenti gli donavano una dolce illusione. La stella cometa non indicava nessun cammino da seguire neanche a Natale, quando la vide scomparire fra le nuvole che presto partorirono una neve dal bianco abbagliante. Amava il Natale e quei pranzi infiniti in famiglia. Aveva l’impressione che fossero davvero tutti più buoni e sapeva che avrebbe ricevuto il regalo che desiderava. Non perché era un bravo bambino, ma perché i suoi genitori avrebbero fatto di tutto per non farlo sentire inferiore a nessuno, seppur con grandi sforzi. Lui lo sapeva bene, aveva capito da subito che doveva tutto alla sua umile famiglia e che a Babbo Natale ci potevano credere solo i fessi e i ricchi.
Maturava insieme ai suoi sogni, era un gran sognatore. Sognava in continuazione, con sogni che non gli davano il tempo di riposare e appena socchiudeva le palpebre, quei sogni continuavano come la proiezione di un film. Nessuno sapeva cosa sognasse. Le sue passioni erano la musica, i libri e il cinema, cercava di cogliere la genialità degli autori immedesimandosi nei personaggi, ne rimaneva ammaliato ogni volta, sempre con la consapevolezza che anche quelli probabilmente erano solo sogni lontani.
A scuola era uno di quelli che possono ma si applicano poco. Non aveva qualità particolari, ma la fame lo portò a sfruttare al meglio la sua normale intelligenza.
Detestava prendere ordini, specie dagli insegnanti, che lo fecero accomodare in fondo all’aula tra i figli del nulla come lui. Tra quelli che avevano di che raccontare sulla crudezza vita, tra quelli che non potevano studiare perché il pomeriggio dovevano guadagnarsi da vivere, quelli che per questo venivano derisi, considerati somari da emarginare, considerati poca cosa. Decise quindi di curare da solo le sue numerose curiosità, anche perché sapeva che dove era nato lui, era meglio cercare di cavarsela da soli, nonostante a scuola era costretto ad andarci. I professori lo considerarono un maleducato come tutti i figli del niente, ma per il piccolo uomo l’educazione non esisteva. Esisteva il rispetto che gli avevano trasmesso i nonni, ma quei docenti non ne avevano per quelli come lui, allora perché lo pretendevano?
Fu a quei tempi che conobbe Biagio, era in età adolescenziale. Non sapeva chi fosse, e sinceramente neanche gliene importava. A dire il vero non gli stava neanche simpatico a primo impatto. Divennero amici per caso, semplicemente stando seduti vicino nell’autobus 5 minuti al giorno, saltuariamente. In realtà non poteva neanche considerarsi un’amicizia.
Era di poche parole Biagio, sguardo perso e volto svuotato. Non era bello, molti lo prendevano in giro per i suoi incisivi irregolari senza curarsi della sua sensibilità e della sua dignità di persona. Alcuni lo ignoravano del tutto, anche il piccolo uomo sarebbe stato fra questi se non gli si fosse seduto affianco. Gli faceva pena e non era tra quelli che lo deridevano perché semplicemente non gli aveva fatto nulla, non gliene importava. Biagio covava strazio senza che nessuno se ne rendesse conto. Stava scomparendo con lentezza insieme alla sua fragile anima che venne cancellata definitivamente un pomeriggio d’estate, quando decise di farsi fuori. Dicono che abbia lasciato una lettera d’addio in cui ovviamente non ci poteva essere il nome del piccolo uomo. Ma lui il nome di Biagio se lo ricordò sempre, anche se lo considerò un vigliacco, pur giustificando il gesto in quanto fu solo vittima della crudeltà e degli sputi velenosi della gente. La stessa gente che il giorno dei funerali applaudì dicendo peccato, era così bello e bravo, denti perfetti.
Il piccolo uomo non sapeva molto di quella breve vita, fino ad allora non ne era neanche troppo curioso, né voleva sapere di più. Tentò di pregare per quel disgraziato ma si rese conto di non conoscere le parole delle preghiere. Diffidava dagli sconosciuti e certo non aveva mai avuto il piacere di incontrare il famoso Dio, né la sua nota bontà di cuore. Allora si promise che avrebbe imparato qualcosa da Biagio e che a differenza sua se ne sarebbe sbattuto delle parole della gente, tenendosi cara la pelle. Spesso, quando le cose non giravano come voleva, avrebbe preferito rimangiarsi tutto. Ma poi se lo ricordava sempre quel ragazzo che conobbe grazie ad uno strano gioco della sorte. Nonostante la sua sciagurata esistenza, il buon Biagio strappò una promessa importante a un povero miserabile come il piccolo uomo e lo tirò fuori dalla mentalità adolescenziale.
La morte lo fece rabbrividire baciandolo con le labbra gelide di chi sarebbe rimasto ma fu costretto a partire. Si dice che ognuno nasce per un determinato scopo, quelli che vanno via presto hanno il compito di lasciare il segno nell’arco vitale delle persone a cui tenevano e non muoiono davvero se non vengono dimenticati, chissà.
Quando la realtà ti tira i primi schiaffi è perché vuole aprirti gli occhi e riportarti in basso.
La gente ci mette del suo. Perciò è meglio non chiuderli mai, gli occhi. Credere di avere molti amici ad esempio, è da illusi. Lo sapeva bene il piccolo uomo, dubitando delle persone e vedendo i cosiddetti amici dargli le spalle nel momento in cui non avevano più bisogno di lui.
Iniziò a fumare. Un po’ per diventare grande, un po’ per sfidare l’umanità e i sui vizi. Ma come spesso accade è il mondo ad averla vinta. La prima volta che si ubriacò lo fece per dimenticarlo, il mondo. Non bastava. Quindi prese confidenza con la droga, che lo sedusse catapultandolo in un pianeta apparentemente migliore. Sfortunatamente poco dopo si ritrovava davanti l’inferno che lo beffava con ghigni fastidiosi. Avrebbe voluto farla finita solo per vedere dopo quanto tempo sarebbe stato dimenticato, ma appena si alzava dal letto cercava di tenere il respiro più che poteva, tentando di vivere almeno per il gusto di vedere cosa ne sarebbe stato della sua missione in questo mondo.
Poi ricominciava a bere per scordare tutto. Spesso giocava i suoi risparmi con la speranza realizzare i desideri della poca gente che credeva in lui.
Il talento non è cosa per tutti, chi ce l’ha dovrebbe sfruttarlo. Ma come si poteva in una società come quella a cui apparteneva il piccolo uomo? E’ molto più semplice cedere alle tentazioni piuttosto che sfruttare il talento e rischiare di finire in miseria.
Una notte dall’ombra invernale, non riuscendo ad addormentarsi, iniziò riflettere sul suo passato con un velo di malinconia. Si stava convincendo davvero che fosse uno dei tanti. Uno come tanti. Anche se fino ad allora si era sempre distinto. Aveva sempre avuto un certo modo di pensare e aveva continuato sempre dritto per la sua strada seguendo le proprie idee.
Bene o male di solito riusciva ad ottenere quello che voleva. Se non lo otteneva era perché non ci aveva mai puntato in pieno. Non si faceva fregare facilmente. Non avrebbe mai perso la testa per una donna. Era disgustato da chi era ostaggio dell’amore. Anche perché le delusioni bruciavano ancora. La prima volta che s’innamorò davvero, perse la testa per Matilde, una ragazza più grande di lui. Iniziò a volare con la mente immaginando la sua vita affianco a lei. Esitava a dichiarare i suoi sentimenti, ma quando si decise fu rifiutato immediatamente e con ribrezzo, senza troppi giri di parole. Tuttavia continuava ad illudersi di amarla senza darsi pace, fino a quando incontrò Chiara, che era affascinata dal piccolo uomo e lo scrutava con ammirazione senza farsene accorgere. Quando lui la baciò, si sentì già soddisfatta della vita. Il piccolo uomo però, ci stava insieme solo perché era l’unica ad accettarlo e probabilmente anche per innescare gelosie in Matilde, suo vero chiodo fisso. In realtà Matilde, non avvertendo più attenzioni su di sé da parte del piccolo uomo, dopo un po’, decise di provocarlo promettendogli una storia se avesse troncato con la povera Chiara. Lui non ci pensò su due volte e si precipitò così nelle braccia della tanto desiderata Matilde. Quando le sfiorò le labbra però, si rese conto che non erano calde e oneste come quelle della piccola Chiara. A quel punto volle tornare sui suoi passi. Chiara era lì in un piccolo angolo. Le lacrime le scorrevano sincere lungo il suo giovane viso. Il piccolo uomo pronunciò qualche parola confusa, pensando di rimediare. Un amore sincero non perdona un tradimento. Ci mette molto a capacitarsi, ma non riesce davvero a perdonare. Il piccolo uomo capì allora che l’amore non era una cosa semplice, forse non era una cosa per lui, non avrebbe più perso la testa. Dopo qualche tempo, entrando in un locale incrociò lo sguardo sorridente di una donna. Gli sembrava di riconoscerlo, era proprio Chiara. Sembrava non avere rancore, ma in verità non mostrava il minimo interesse per il piccolo uomo. Scambiarono due chiacchiere e lo congedò ricordandogli quanto fosse inutile evocare il passato e quanto delle scelte condizionino i destini. Così, per lenire il dolore, il piccolo uomo si diresse verso il bancone e trangugiò qualche bicchiere. Pensando ai suoi conoscenti persi nell’amore, si rese conto che le giornate del divertimento e del tempo libero si erano esaurite e con gli anni la sua vita stava subendo un’evoluzione che paradossalmente lo opprimeva.
Ora le sue radici iniziavano a farsi sentire e uscire fuori lentamente. Veniva da una famiglia modesta, forse proprio per questo aveva una gran fame di sapere, una curiosità che si dimostrava vincente, riuscendo ad emergere grazie alla sua scaltrezza. Ma forse non aveva troppa fame, o forse erano le sue radici ad averne troppa. Doveva sacrificarsi e rinunciare ai propri sogni per saziare le sue radici. Adesso tutto quello in cui credeva gli si stava ritorcendo contro, prendendosi gli interessi con tassi da usurai. Pignorando i sogni del piccolo uomo. In cuor suo sapeva benissimo che se voleva, poteva riuscire in tutto. D’altra parte aveva paura di quelle sue radici, così deboli eppure così importanti per lui. Non riusciva a sopportarlo. Avrebbe preferito farla finita pur di non veder tramontare i propri sogni senza giocarsi le sue carte. Ma avrebbe anche preferito morire pur di vedere le sue radici morte di fame. Non poteva accontentarsi come facevano tutti. Non poteva aspettare un futuro migliore e morire con questa speranza come il resto della gente. Lui odiava la parola “tutti”. Era solito andare contro corrente, che sfizio ci sarebbe a vivere, se ci si dovesse adattare a quello che fanno tutti? Pensava lui. Purtroppo arrivarono i tempi in cui anche lui doveva iniziare ad accontentarsi come fanno tutti, anche se questo lo mordeva dentro come un cancro, e come un cancro lo uccideva pian piano. Spesso si muore per aver avuto poca fame. Chi è affamato ha l’occhio spalancato per cogliere le occasioni, gli occhi di chi è sazio tendono a chiudersi prima. Tuttavia, la sua idea di programmare il destino non fu esaltante come immaginava..
Quella notte decise di uscire in strada alla ricerca della svolta; senza sapere che la svolta arriva sempre da sola. Baciò la madre assopita sul divano e se ne andò voltandosi per guardarla con uno sguardo a metà tra l’addio e l’arrivederci.
Il freddo lo avvolse, tra i vicoli proveniva odore di minestra mischiato al leggero fumo dei camini, che spesso si confondeva con la nebbia.
Udiva i sussurri critici di qualche anziano, emozionato nel raccontare infiniti episodi del suo passato alla moglie che li conosceva già bene, ma che continuava ad ascoltarlo in silenzio, tra il nero di qualche antico lutto, le sue preziose rughe e lo sguardo ed i pensieri rivolti ai figli lontani. La pensione bastava appena per sfamarli in seguito a una vita di vestiti rappezzati e umidi di sudore, scarpe sporche di terra. Nell’armadio un solo abito elegante, stava lì da quarant’anni ed usciva solo per i matrimoni. Morirà e verrà seppellito insieme a loro.Dimenticati da tutti. Riabbracciati solamente dal terreno che fu la loro vita. Il vento fuggiva rabbioso per la strade, schiaffeggiando le facce di chi lo sfidava, tra cui il piccolo uomo che vagava con le mani gelate. Un ragazzo baciava la sua fidanzata, accarezzandole le guance rosse, forse per scaldarle un po’. Loro il freddo lo sentivano meno. La luce arancione dei lampioni risaltava l’ombra delle foglie, che staccandosi dagli alberi volavano via con tristezza, come se avessero voluto restare in cima.
Forme di vita nei bar, quattro individui di mezza età giocavano a carte mentre entrarono due ragazzini che li sfidarono a chi sarebbe riuscito ad imbrogliare meglio, per potersi vantare di aver bevuto di più. Il piccolo uomo era solo, scrutava dalla strada queste scarne scene di vita.
La luna era ormai alta, i due anziani si coricarono dandosi le spalle. La ragazza tornò a casa e si addormentò rincontrandosi con il suo amore nei sogni. I quattro uomini tornarono alle rispettive case, sperando di essere ubriachi abbastanza per non pensare al mutuo, al lavoro che detestavano, al futuro dei figli e alla moglie che dormiva sconfortata. I due ragazzini non avevano voglia di dormire ma se ne andarono. In strada non rimase che il piccolo uomo, in compagnia del vento.
Sul suo tragitto, in un tratto costeggiato da alberi, incrociò un vecchio mendicante di cent’anni con gli occhi lucidi che contava i giorni al contrario. L’anziano gli parlò della guerra e gli consigliò di seguire il cuore, sostenendo che il cervello non sempre ha ragione. Gli annunciò inoltre che era arrivato in un punto in cui non si poteva tornare indietro, era il momento di scegliere. Doveva decidere se arrendersi alla morte o accontentarsi magari di un lavoro che avrebbe detestato ma che gli avrebbe consentito di vivere. Con un capo che avrebbe dettato ordini e giocato con la sua vita minacciando di licenziarlo se non sgobbava. Vendere così la sua libertà e il suo talento per poche centinaia di euro mensili ed un avvenire incerto.
Oppure doveva dare libero sfogo alle sue passioni e continuare a sognare. Magari non sarebbe mai diventato nessuno ma doveva scegliere lui se diventare un signor nessuno o un dottor nessuno, seppur con la paura di rimanere un fallito ma con la consapevolezza che i soldi non comprano i valori, ed è vero che un pacco di banconote non può valere più di un attimo di felicità. Il destino, che arrivò puntuale all’appuntamento, gettò via i dadi e gli concesse l’imbarazzo della scelta. Lo faceva di rado. Allora il piccolo uomo, nel domandarsi se quel gesto era benevolo o malefico fece un passo avanti assieme alla sua anima e ai suoi ricordi. Non si era mai vantato di essere coraggioso, anzi, il coraggio gli era mancato più di una volta e in circostanze in cui ce ne sarebbe stato bisogno, lasciando alle spalle una scia di rimorsi taglienti. L’odore della morte mischiato al fetore della vita era soffocante. Inspirò, deglutì il cuore che gli batteva in gola ed avanzò..
Da allora nessuno lo rivide più. Nessuno seppe mai se conobbe la vecchiaia o se volò via tra gli alberi, se s’innamorò di nuovo o non ne ebbe il tempo; può darsi che non lasciò tracce per non dare alla gente il gusto di giudicarlo. La madre non ha mai smesso di cercarlo, forse sarà l’unica a ricordarsi di lui, insieme all’amico che conobbe all’asilo che lo sognerà di tanto in tanto. Questa storia non ha lieto fine perché il mondo del piccolo uomo non lascia immaginare un futuro roseo per nessuno, non c’è più niente da raccontare. Il futuro sta solo nelle nostre mani, anche quello del piccolo uomo, così insignificante, dalla vita come quella di uno scorpione avvelenato che deve sputare tutto il veleno che ha in corpo per salvarsi.