Anche se la Francia aveva risentito meno di altri paesi europei della Grande Crisi scoppiata in America nel 1929, i segnali di disagio erano evidenti dappertutto. Sono gli anni in cui, oltre ai problemi della disoccupazione crescente, si avvertiva con inquietudine, a guerra conclusa, l’inizio di un’ anteguerra, una fase di stallo in cui si percepiva il timore di una guerra nuova, che l’apocalisse fosse soltanto rimandata. In questo romanzo, come in altre opere che seguiranno, Céline faceva sua l’angoscia dell’intellettuale e di un’intera generazione. Il suo Bardamu è un anarchico che si sente ovunque straniero, protagonista non di un romanzo qualsiasi, ma di d’una vera testimonianza.
“La verità di questo mondo è la morte”.
Viaggio al termine della notte, pubblicato net 1932, è ormai considerato un libro fondamentale della narrativa europea del Novecento, classico di sconvolgente forza della letteratura francese. Il clamore e lo scandalo che lo accolsero sono facilmente riconducibili alla disturbante carica di verità che lo attraversa, un’opera che mette impietosamente a nudo sia le miserie dell’individuo, sia quelle della società in cui si muove.
Libro quasi completamente autobiografico, i vagabondaggi del medico Bardamu diventano il simbolo dello sradicamento sociale, dell’esule, della guerra, della povertà, della malattia. Dagli scenari della prima guerra mondiale all’Africa coloniale, dall’America del Fordismo ai sobborghi di Parigi, è un tragico reportage sulla perdita di ogni valore. Al duro sfruttamento dell’uomo sull’uomo nelle colonie francesi corrisponde l’avidità di un capitalismo imperante, alla povertà dilagante degli operai in fabbrica fa eco la disperazione dei soldati nelle trincee, in un universo in cui la legge della sopravvivenza impone scelte spesso disgustose e aberranti.
Questo è il romanzo che più di ogni altro ha meglio compreso e rappresentato gli aspetti più schizofrenici e parossistici del XX secolo: gli orrori della guerra e la sua retorica patriottica, la ferocia dello sfruttamento coloniale, il degrado dei quartieri di periferia e la solitudine delle metropoli, gli incubi alienanti delle catene di montaggio, la crudeltà del mondo operaio e l’avvento di una cinica quanto spietata classe borghese.
In Céline la polemica sociale si presta molto bene alla letteratura. Molti prima di lui hanno denunciato la guerra ed il colonialismo, ma l’uso di ellissi, iperboli e parole gergali, la sovversione e il capovolgimento di stile in un misto di scrittura “bassa” e “alta”, sono fattori che tutt’ora contribuiscono a mantenere intatta la sua originalità, allora disarmante, quella bellezza e quella freschezza stilistica dopo quasi ottanta anni dalla sua pubblicazione. La vera innovazione sta nella rottura sintattica e semantica interna a un periodo, la dislocazione di parole anticipate o posticipate in un discorso, creando effetti a sorpresa e di sospensione che deflagrano in un ritmo narrativo inedito. Inoltre lo stile diretto veniva usato non soltanto nei dialoghi ma costituiva l’intera tessitura del racconto, in modo che l’autore potesse fare proprio il punto di vista dei reietti, senza mai idealizzarli, senza mai pensare che un ipotetico riscatto potesse salvarli. Non cinismo, ma crudele realismo.
E Bardamu?
…un uomo tormentato dall’infinito…malato della voglia di saperne di più…[…] E’ forse questo che si cerca nella vita, la più gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire.
Un uomo intento a cercare una punizione per l’egoismo universale, e che cerca la risposta nelle tenebre della notte, un inquietante versione dei gironi dell’inferno dantesco che nessuno oserebbe affrontare.
…quella voglia di scappare da ogni posto, alla ricerca di non so cosa, per uno stupido orgoglio senza dubbio, per la convinzione di una specie di superiorità.
Bardamu resta un uomo come tutti, rivendica la giustizia sociale, e pratica un culto quasi classico della bellezza, ma è partecipe agli orrori del mondo con scatti d’irritazione che lo fanno precipitare in una baraonda di situazioni al limite del tragicomico e del surreale, uscendone con dolore e fatica.
Opera che parla dell’umanità con disprezzo, senz’altro, ma in modo difficile da comprendere fino in fondo, a volte equivoca e non certamente manchevole di ambiguità. Non sarà un caso se Céline, al termine del decennio, il più apolitico scrittore di tutti finisca per schierarsi dalla parte dell’avversario tedesco, pubblicando tre famosi saggi di simpatia ideologica per l’antisemitismo. Opere che faranno di lui un uomo in fuga per le città di un’Europa devastata dalla guerra, un nemico della patria e degli uomini.
Eppure tanta è la compassione per gli umili, o l’odio verso la catastrofe e la rovina, verso tutto ciò che è corrotto. Bardamu-Céline cammina tra le chiatte, tra le case e i parchi, sprofondando nella notte del mondo:
…l’uomo è nudo, spogliato di tutto, perfino della fede in sé stesso. Questo è il mio libro.
Credo che solo un uomo che ha vissuto, fino in fondo, le basezze e le brutture della vita possa scrivere un’opera come questa.