Siamo a cavallo tra ‘500 e ‘600, un’epoca cruciale dal punto di vista economico, politico, sociale e culturale…
E il meridione italiano ci consegna una delle figure più affascinanti della nostra storia: Tommaso Campanella, nato nel 1568 a Stilo, in Calabria. Siamo di fronte a un uomo che ha fatto parlare tanto di sè, in vita e post-mortem. Qualcuno dice che sia stato un filosofo, altri un naturalista; qualcuno lo bolla come un nemico della Chiesa, altri semplicemente come un agitatore politico. In realtà il personaggio in questione è davvero sui generis: certamente un uomo dalla vita avventurosa ed un grande scrittore.
Fortemente affascinato dal pensiero ereticale del Medioevo, da quelle tradizioni profetiche ed escatologiche che avevano trovato un forte punto di riferimento in Gioacchino da Fiore (calabrese come lui), Campanella ha elaborato un pensiero del tutto particolare, frutto anche di suggestioni magiche e platoniche ermetiche.
Il suo capolavoro, La città del sole, vede la luce nel 1602. All’autore fu consentito di pubblicarne solo la versione latina; quella italiana sarebbe uscita nel 1904.
L’opera (e la “città” in questione) delinea quella riforma universale che Campanella aveva sempre avuto in mente e che cercò anche di attuare nei fatti, organizzando una rivolta, sostenuta da forze popolari e da ambienti cittadini, per la creazione di una società giusta, senza conflitti di alcun tipo. La città del sole mette in scena un dialogo tra un cavaliere di Malta e un navigatore genovese: è quest’ultimo a descrivere le istituzioni, gli usi e i costumi di un’immaginaria città di un’isola orientale, la cui vita è sorretta dal principio vitale del Sole, adorato da un popolo che ignora la rivelazione di Cristo. Guida indiscussa della città è un Principe Sacerdote, che s’appella Sole e in lingua nostra si dice Metafisico. Egli è affiancato da tre Principi collaterali che rappresentano Potestà, Sapienza e Amore, i predicati essenziali di Dio.
Prevedibile la reazione della Chiesa cattolica, che ha sempre perseguitato Campanella, accusandolo di eresia e condannandolo ad una vita di stenti tra tante prigioni italiane. Oltretutto – fatto non trascurabile – lo scrittore, nel delineare la società dei sogni, abolisce la proprietà privata; tutti i beni sono comuni, anche le donne: la famiglia intesa come microcosmo privato è praticamente cancellata.
E prevedibile – forse ancor più della reazione della Chiesa – è stata l’interpretazione “politica” a posteriori dell’opera, eretta a pietra miliare di un comunismo ante litteram. Appare superfluo sottolineare come Campanella non potesse avere in testa un pensiero, come quello della filosofia comunista, complesso ed articolato, che sarebbe stato formulato 400 anni dopo. È, ci piace sottolineare con precisione terminologica, un sistema comunistico e non comunista, e oltretutto non egualitario, in quanto ogni membro della società occupa il grado che corrisponde alle sue capacità e alle sue qualità naturali.
Al di là dell’utopia, La città del sole porta i segni della straordinaria sete di giustizia di Campanella, che in vita ha cercato con tutte le sue forze di individuare poteri politici reali a cui affidare l’unificazione del mondo sotto l’egida della verità e della giustizia: prima la Chiesa, poi la monarchia spagnola e, infine, quella francese, osannata nella figura di quel Luigi XIV che avrebbe ricevuto proprio l’appellativo di “Re Sole”.