Un numero imprecisato di donne saudite lo scorso 17 giugno, ha impugnato il volante in segno di protesta rivendicando il diritto a guidare nell’unico Paese al mondo che lo nega al genere femminile. E così, poiché le stesse attiviste del movimento ‘Women2Drive’, avevano raccomandato di non sfilare in corteo ma di partecipare individualmente alla protesta, non si ha un numero preciso di partecipanti a tale evento. Le uniche prove di partecipazione sono i video di alcune attiviste che hanno filmato la propria amica che guidava o testimonianze dirette di persone che hanno scritto la propria esperienza sui social network: un video di una donna che ha guidato a Riyad è stato girato alle 00.30 del 17 giugno e caricato su youtube; per quanto riguarda le testimonianze scritte, c’è chi ha dichiarato. “Ho guidato per 45 minuti in via Al Muluk e via Olaya” oppure “Fantastico, ho appena passato due auto della polizia. Mi hanno solo guardato”. Molto significativo inoltre, è stato l’intervento su Twitter di una donna che ha scritto. “Ho deciso che l’automobile oggi è mia. Né leggi né la religione lo vietano”.
In realtà, non c’è una legge che vieta alle donne di guidare, è proibito farlo senza patente, ma il problema è che alle donne non viene rilasciata. Inoltre il divieto è stato rafforzato da una fatwa religiosa dopo che nel 6 novembre del 1990, 47 donne guidate da Fawzia Al Bakr, sfilarono in auto nella capitale saudita. Secondo l’establishment religioso e i conservatori, il motivo del divieto di guida è che ciò esporrebbe le donne a maggiori pericoli, ma la causa reale è che si vuole evitare il più possibile che le donne abbiano contatti con altri uomini che non siano i loro mariti, questo perché nel Paese c’è ancora un forte maschilismo e la segregazione tra i sessi è assoluta: basti pensare che le donne non possono ancora votare e non possono scegliersi il proprio marito.
Quest’ultima manifestazione in particolare, ha visto tra le promotrici del movimento ‘Women2Drive’, Manal Al Sharif, un’ informatica di 32 anni che nel maggio scorso è stata arrestata per dieci giorni in quanto aveva pubblicato un video mentre guidava un’auto. Le attiviste di tale movimento hanno chiesto l’appoggio del segretario di Stato americano Hillary Clinton, scrivendole che “Nell’ambito della Primavera Araba e dell’impegno degli Stati Uniti a sostenere i movimenti non violenti per la democrazia, è giunto il momento che l’amministrazione Obama dimostri il suo appoggio per i diritti delle donne saudite”. Per evitare complicazioni nella giornata del 17 giugno inoltre, sulla pagina Facebook del gruppo ‘Women2Drive’ era possibile leggere tali indicazioni. “Fatevi accompagnare da un parente maschio, evitare le zone isolate, state in contatto con noi via Twitter, non fate cortei, velo in testa e munitevi di una foto del re e della bandiera saudita, niente infrazioni e se vi fermano nessun eroismo. E poi partite, che Allah vi protegga”. E in effetti nessuna delle manifestanti è stata arrestata. Solo qualcuna di esse è stata fermata dalla polizia per poi essere accompagnata in commissariato per firmare una dichiarazione dove accertasse di non fare più tale azione. C’è da sottolineare che un sito di conservatori islamici invitava gli uomini a dare la caccia alle guidatrici e una volta scovate, a picchiarle. Ma c’è da aggiungere anche che le manifestanti sono state appoggiate dai progressisti, molti uomini hanno dichiarato che avrebbero guidato vestiti da donne per confondere la polizia, ma anche dal principe Talal, fratello del re Abdullah, monarca dell’Arabia Saudita.
E’ importante infine fare una precisazione: nel Corano ovviamente non c’è una norma che vieti la guida alle donne, né tantomeno il testo sacro le discrimina, anzi in esso più volte è ricordata l’uguaglianza tra uomini e donne. Quest’ultimo concetto viene respinto dagli estremisti islamici che attuano in maniera totalmente errata le parole del Corano ed è per questo che molti religiosi che si basano invece sui veri precetti di tale testo, si sono uniti alle attiviste in quest’ultima manifestazione di protesta.