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Tommaso Landolfi e la sua storia bizzarra nel racconto Cancroregina

I protagonisti del romanzo di Landolfi, Cancroregina, sono due: da un lato c’è uno scrittore fallito, pieno di debiti e con la voglia di evadere da una routine noiosa e solitaria; dall’altro c’è uno scienziato folle, uscito da poco da un manicomio che invita lo scrittore a prendere parte, insieme a lui, ad un’avventura bizzarra e lontana dalle sue abitudini che consiste nel fare un viaggio, o meglio un volo  verso la luna a bordo di un’astronave di sua creazione chiamata Cancroregina.

Già da questi pochi elementi è chiaro come Landolfi abbia voluto mescolare motivi di reportario assai familiari nella letteratura: la noia di una situazione statica, la possibilità di evadere e fare una nuova esperienza  presentata da una figura ambigua a metà tra il Mefistofole del Faust e il genio della lampada della favola di Aladdin e infine il viaggio.

Proprio il viaggio, organizzato all’improvviso e figlio di disperazione, speranza e follia insieme, si trasforma in un incubo: quando le cose sembrano andare bene, lo scienziato rivela la sua natura folle (sebbene già fossero evidenti i suoi squilibri mentali) esasperando lo scrittore e addirittura accusandolo di impedire, con il suo peso, la normale andatura del viaggio.

Dal momento che i due “esploratori” sanno poco l’uno dell’altro e sono mossi da motivazioni assai diverse le liti e le incomprensioni arrivano ad un livello di tensione tale che lo scrittore per difendersi dal folle scienziato lo scaraventa letteralmente fuori dalla navicella.

Lo scrittore crede così di essere solo; in realtà lo scienziato Filano si è aggrappato alla navicella e continua a far parte del viaggio e a seguire la sua navicella nello spazio.

Landolfi a questo punto del romanzo trasforma completamente la sua storia: da un racconto iniziale, strutturato a norma (benche la presenza di elementi bizzarri), si passa ad una sorta di diario di bordo in prima persona, un flusso di parole dello scrittore che riflette sul senso di vacuità e di insoddisfazione della sua vita e della condizione dell’uomo in generale.

A mio avviso Landolfi, trova con una maniera innovativa e stramba di riflettere sui temi dell’uomo, come già era successo in passato e su uno in particolare: la pazzia.

La pazzia pervade l’opera del Landolfi, con sfaccettature diverse nei due personaggi e anche nella stessa navicella: abbandonato il comune progetto di conquistare la luna e trovatosi solo, lo scrittore diventa vittima di Cancroregina, la navicella si ribella, per un  guasto tecnico, impazzisce appunto e si ferma, lontana dalla luna, lontana dalla terra, bloccata nell’orbita dello spazio e il protagonista con lei.

Sergio Givone, filosofo italiano, a proprosito di Cancroregina definisce il romanzo

Un viaggio al fondo della disperazione. Quale disperazione? La disperazione assoluta; ossia la disperazione di chi dispera perfino di far giungere a qualcuno la propria voce, il proprio grido…. prigionierio di una navicella spaziale è un morto in vita, anzi è un morto che non può morire

Il viaggio cominciato con lo scienziato Filano, per sfuggire ad una vita nella quale si sentiva bloccato senza via d’uscita, si rivela essere una nuova prigione per lo scrittore

La provvista di cibo era per due, tre anni: se però fossimo stati in due. Sono solo invece e poi non mangio…quasi più. Per cui basterà magari eternamente per la mia vita senza fondo.Ma come si può vivere così senza nulla, senza nemmeno una  lontana speranza? E’ vero ed io in realtà aspetto qualcosa: aspetto il coraggio di morire