La mia storia d’amore con Daniel comincia tanto tempo fa. Non posso affermare non mi abbia mai delusa, se Romeo e Giulietta non fossero morti sono certa che lui avrebbe prima o poi dimenticato qualche ricorrenza, anche il mio amato alle volte ha commesso quello che ai miei occhi è stato un errore. Non è il caso di questo libro. “Ecco la storia”, titolo semplice di quelli che stupiscono per la loro incisività ed eccola la storia nera su bianco pronta per me, la versione italiana del titolo l’ha scelta lo stesso Pennac. Sembrerebbe la frase di un qualche cameriere: “Ecco signora la storia che mi ha ordinato”. Beninteso sono seduta al tavolo di un gran bel ristorante. Spettacolo incluso nel servizio.
In un paese dell’entroterra brasiliano, Teresina, il dittatore del posto, Manuel Pereira Da Ponte Martins, chiede il consulto di una maga la quale, udite udite, prevede che egli sarà ucciso dai suoi stessi sudditi, per essere precisi sarà linciato dalla folla. Per quanto sangue freddo possa avere un dittatore come rimproverargli l’improvvisa agorafobia che lo attanaglia? C’è dunque da escogitare un piano, ma quale? Si potrebbe cambiare forma di governo. Suvvia non siamo sciocchi quale politico penserebbe ad una soluzione di questo genere. Allora spunta un’idea, trovare un sosia, qualcuno che regni e si faccia linciare al posto del predestinato reggente. A sua volta il sostituto troverà un nuovo sosia e questi un altro ancora e così via, allontanandosi ovviamente sempre più dall’originale. L’epilogo è eccezionale ma giuro non lo svelerò. Il testo però, nella migliore tradizione Pennacchiana, non si limita al racconto, infarcito di numerosi cenni autobiografici e di notizie circa la genesi del libro, Daniel procede un sosia alla volta, racconta aneddoti ma anche ne crea, sullo sfondo Charlie Chaplin, il suo “Il grande dittatore” ed il cinema tutto.
Il luogo dell’invenzione e dell’immaginazione al contrario di ciò che può credersi è fisico, è una penna, una cinepresa o che so un’altalena. Gli uomini di talento come Pennac o lo stesso Chaplin possiedono quel magico talento di trarre sul piano della realtà, con un procedimento sconosciuto a molti di noi, le storie degne di essere raccontante e la cui narrazione, come nel “Il grande dittatore”, è addirittura doverosa. Il tema della maschera inutile dirlo è centrale e portante. Allontanandoci dall’essenza di noi stessi, piegandoci alle regole imposteci cosa siamo se non dei sosia. Non esistono uomini liberi, e noi non possiamo fare altro che tentare di rassomigliarci il più possibile.
La lettura di questo romanzo non è confortevole ma, diciamola tutta, stiamo diventando fruitori pigri. Non esce fuori tema l’autore con i suoi salti, ci invita a seguirlo, non ci prende per mano, perché dovrebbe, ma ci rivolge un cortese invito. Si legge muovendosi questo romanzo, non è esercizio di stile è un esercizio con stile, non mi meraviglia affatto non sia tra i suoi scritti più popolari. Lui Benjamin Malaussene non lo ha ucciso ma pare che alcuni affezionati si siano trasformati in altrettante Annie di “Misery non deve morire” di fronte all’assenza del loro Benjamin-o . Signor Pennac la prego faccia attenzione alle tormente di neve e ove mai le dovesse capitare di imbattersi in questa recensione la prego di credermi io non le spezzerei mai le gambe, mi limiterei a legarla ad una scrivania, ho adorato i suoi ultimi libri ma il Piccolo mi manca da morire.