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Oriana Fallaci, “un generale nella guerra per la libertà” *

*David Horowitz, in occasione del conferimento dell’Annie Taylor Award, assegnato a persone che dimostrano eccezionale coraggio in situazioni di estremo pericolo, 2005.

 

“La prima volta che sedetti alla macchina da scrivere, mi innamorai delle parole che emergevano come gocce, una alla volta, e rimanevano sul foglio…ogni goccia diventava qualcosa che se detta sarebbe scivolata via, ma sulle pagine quelle parole diventavano tangibili […]Ho iniziato con il giornalismo per diventare scrittrice”.

Oriana Fallaci nasce a Firenze il 29 Giugno 1929, in un’epoca di conflitti mondiali e femminismo emergente, ai tempi della Resistenza e del Fascismo; un’epoca in cui per le donne lo spazio era poco, e l’ignoranza e la povertà finivano per relegare nella subalternità la figura femminile. Ma non per Oriana, coraggiosa e intraprendente, figlia di attivisti politici e di un padre che fu arrestato e torturato dai nazisti, che già da bambina faceva la staffetta per consegnare messaggi partigiani, guadando le secche dell’Arno quando i ponti erano minati; un compito per cui ricevette, a soli quattordici anni, una speciale onorificenza dell’Esercito Italiano. Avvicinatasi alla scrittura grazie a uno zio giornalista, Oriana Fallaci resta un personaggio ambiguo e controverso, difficilmente inquadrabile in uno specifico contesto storico-culturale. Fiera e volitiva, figlia del piombo dei fucili e del lutto della guerra, Oriana fu una pioniera in molti sensi: testarda e risoluta, con quel cipiglio mascolino e austero che tanto la rendeva affascinante, fu la prima donna in assoluto a essere inviata al fronte come reporter di guerra; intervistò personaggi storici e politici di caratura internazionale, con una sensibilità e una partecipazione emotiva che, nonostante tutto, spingeva l’intervistato a raccontarsi – pur pentendosene in seguito, come accadde a Henry Kissinger, che considerò l’intervista rilasciata alla Fallaci come uno dei suoi peggiori errori. Oriana disse sempre quello che pensava, lottò per quello che riteneva giusto senza mai arrendersi, talvolta cadendo in contraddizione, ma sorda alle critiche e incurante ai giudizi altrui; visse senza mai schierarsi da una parte o dall’altra solo per aderenze ideologiche, ma sempre affermando con forza, convinzione, e forse un pizzico di superbia, quelle idee che erano solo sue, frutto di un lavorio interiore che ella stessa definì di carattere “morale”, e di un modo di guardare alla realtà mai suscettibile alle influenze esterne. Tanto che la critica più volte la definì un personaggio egocentrico, scontroso e bilioso, “incapace di ascoltare altre voci oltre la propria”, come scrisse C. Dikey del Los Angeles Times Book Review.

Critica nei confronti della politica, sia di destra che di sinistra, della magistratura e delle femministe moderne, che non avevano saputo sfruttare l’occasione da lei offerta, dimostrando che “una donna può fare qualsiasi lavoro”, la Fallaci fu protagonista di numerose polemiche: intollerante nei confronti degli omosessuali e dei musulmani, ritenuti dei “colonizzatori”, fu citata in giudizio da un privato cittadino per aver deliberatamente offeso la religione islamica nel suo “La Rabbia e l’Orgoglio”, scritto di orrore e di rivendicazione in memoria della tragedia delle Torri Gemelle. Inviata speciale per L’Europeo durante la guerra in Vietnam, che definì una “sanguinosa follia”, testimoniò le rivolte sessantottine negli USA – visse a lungo a New York – e in Messico, durante la manifestazione studentesca alla vigilia dei Giochi Olimpici (1968), in seguito ricordata come massacro di Tlatelolco, fu gravemente ferita e trasportata in obitorio, prima che un prete si accorgesse ch’era ancora viva. Atea per definizione, dichiarò tuttavia la propria vicinanza intellettuale e morale a Benedetto XVI, si batté contro l’eutanasia e espresse opinioni sfavorevoli all’aborto – famosissimo il suo “Lettera a un bambino mai nato” , in cui, nonostante tutto, la Fallaci riesce a mantenersi imparziale, privilegiando, in quello che forse è il più apprezzato e “veritiero” dei suoi romanzi, dal sapore vagamente saggistico, una lucida espressione del conflitto interiore che tormenta una donna che arrivi al bivio della scelta tra l’aborto e la prosecuzione di gravidanza; scritto talmente imparziale da essere strumentalizzato da entrambe le fazioni, a favore e contro l’aborto. Durante tutta la sua vita amò un solo uomo, di un amore breve (durò solo tre anni, fino alla prematura morte di lui) ma intenso, Alekos Panagulis, leader della resistenza greca contro il regime dei Colonnelli, che incontrò nel 1973, alla sua uscita dal carcere, e accompagnò fino alla fine dei suoi giorni, dedicandogli in seguito il romanzo “Un uomo” (1979).

In anni più recenti le sue forti prese di posizione in merito a fatti di attualità hanno fatto ampiamente discutere: chi non ricorda l’imitazione caricaturale di Sabina Guzzanti o le critiche di Franca Rame, che accusò la Fallaci di terrorismo, quando quest’ultima condannò con durezza la manifestazione fiorentina dei no-global. Definita una “guerrafondaia”, Oriana Fallaci è stata forse una delle poche donne a conoscere il reale significato della parola “guerra”, avendola vissuta sulla sua pelle in più di un’occasione, forse avendola ricercata con uno spirito documentarista e avventuroso quasi senza paragoni. E forse è proprio la vista degli orrori di guerra, la morte violenta che è stata sua compagna e insieme ossessione della sua esistenza, a rendere Oriana ciò che è stata: una donna, ma prima di tutto una persona, contraddittoria, estremista, liberale o reazionaria a seconda delle situazioni, atea eppure illuminata da un’intensa spiritualità, irriverente e anticonformista al punto da intervistarsi da sola – Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, supplemento al Corriere della Sera (2004) – l’Oriana amata o odiata, senza vie di mezzo, ma soprattutto l’Oriana viva, permeata di quel sacro fuoco della vita, a cui si è abbandonata senza riserve né timori, fino alla morte, avvenuta nel 2006 dopo una estenuante battaglia contro il cancro. Quella stessa forza che permea i suoi scritti, densi, vitali essi stessi, trascinanti, che continuano a vivere e a far vivere Oriana oltre la morte.

“Non mi sento di essere e non mi sentirò mai come un freddo registratore di ciò che vedo e sento, scrive nella prefazione a Intervista con la storia, il libro che le ha raccolte tutte (1974). «Su ogni esperienza personale lascio brandelli d’anima e partecipo a ciò che vedo o sento come se riguardasse me personalmente e dovessi prendere una posizione (infatti ne prendo sempre una basata su una precisa scelta morale)”. Intervista con la Storia (1974).