Ci sono alcuni passi di Kundera, ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, che hanno da sempre attirato la mia attenzione: Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere potremmo essere suddivisi in quattro categorie. La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi […] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti […] C’è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata […] E c’è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti.
Sono i sognatori.
Spesso mi sono divertita a etichettare le persone secondo questi criteri, e ho fatto lo stesso con molti personaggi letterari.
I protagonisti del romanzo epistolare Che tu sia per me il coltello, di David Grossman, rientrano sicuramente nella quarta categoria: sono due sognatori!
In un gruppo di persone, Yair nota una donna sconosciuta che sembra volersi isolare dagli altri. La vede stringersi nelle spalle e compiere gesti inconsueti, ma dolcissimi. Commosso da quella che egli interpreta come un’impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto e senza vincoli: un rapporto, però, epistolare.
Sto cercando un compagno per un viaggio immaginario […] ho bisogno di un compagno reale per il mio viaggio immaginario.
Myriam ne resta colpita, probabilmente sedotta, e accetta le condizioni di un rapporto vissuto da lontano, ma con tutta l’anima.
Il titolo è, in questo senso, illuminante. Preso in prestito da Kafka, che nelle “Lettere a Milena” così scriveva: amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso, Yair sceglie un destinatario, un compagno, un complice che lo aiuti a sezionarsi l’anima, a tirare fuori la parte più profonda, nascosta e dolorosa del suo Sè. Lo stesso vale per Myriam, donna sensibile e intelligente, capace di agire con una folle logica pur di conoscersi e conoscere.
Le pagine di questo libro travolgono in un uragano di parole, a volte forse retoriche, e costringono il lettore ad abbandonare ogni logica, per lasciarsi andare alle emozioni. Yair vive di emozioni, non conosce altra guida.
Con le parole, i due protagonisti ripercorrono le loro storie e riescono a tirare fuori il meglio, arrivano a toccare l’anima prima che il corpo.
Yair e Myriam sono sposati, hanno entrambi una famiglia, ma quello che cercano non è una semplice avventura, un diversivo per sconvolgere la quotidianità. Entrambi, invece, desiderano uno spazio libero, privo di sovrastrutture cerebrali e resistenze, privo di giudizi e sensi di colpa; un posto dove mettersi a nudo senza paura.
La somiglianza che esiste tra noi…la somiglianza che esiste tra due tazze rotte esattamente nello stesso punto.
Sono, allo stesso tempo, meravigliosi e assurdi i rapporti come quello di Yair e Myriam! Guardarsi dentro è doloroso perché comporta accettare anche parti di noi che ci feriscono, di cui non andiamo fieri. Sapere di avere, però, un compagno di viaggio è rassicurante.
Myriam tende la mano a Yair, lo segue nel suo nonsense senza esitazione, e riesce a cogliere il segreto della sua anima…
Vedo un uomo che non è un uomo e un bambino che non è un bambino. Vedo un uomo la cui maturità e la cui virilità sono come una cicatrice che si è chiusa e indurita sulla ferita del bambino. […] Lettera dopo lettera sentivo che avrei potuto fare qualcosa per te; e non era un caso che tu ti fossi rivolto a me, perché grazie al tuo intuito avevi capito che io avrei potuto guarire quella cicatrice, fino a rivelare il bambino, il tuo gemello luminoso e, ricominciando da lui, avresti potuto tornare ad essere l’uomo che sei, che eri destinato ad essere. Chi è quest’uomo? Temo che non mi permetterai più di scoprirlo. Posso solo indovinare che è tutto quanto insieme: adulto e bambino, uomo e donna, morto e vivo, e molte altre cose e molte altre persone – ma riuniti insieme, senza le divisioni artificiali e violente che esistono dentro di te. Perchè ai miei occhi, nel punto in cui tutte quelle “anime” si toccano, si mescolano e si uniscono senza che nulla le separi, sento che laggiù si trova il tuo vero io. Quando ti ho incontrato laggiù mi sono subito sentita riempire da te. Il mio corpo e la mia anima ti hanno parlato direttamente, oltre le tue parole, che non sempre amavo. Perchè laggiù tu mi ecciti veramente, mi stimoli, mi infiammi e mi fai male. E, quando, talvolta, mi hai permesso di stare laggiù con te mi sono sentita viva come non mi era mai successo con nessuno. Con nessun uomo.