Carò papà
Recentemente mi hai chiesto perchè io affermi di avere paura di te. Come sempre non ho saputo risponderti,in parte proprio per la paura che provo nei tuoi confronti, in parte perchè i particolari che concorrono a motivare questa paura sono troppi perchè io riesca in qualche modo a metterli insieme in un discorso; e se ora provo a risponderti per iscritto, sarà comunque una risposta molto incompleta, perchè anche nello scrivere mi intralciano la paura nei tuoi confronti e le conseguenze, e perchè la vastità della materia supera di gran lunga la mia memoria e la mia intelligenza.
E’ il 1919 quando Franz Kafka decide di mettere per iscritto tutti i sentimenti che prova verso il padre; è una lettera accorata per lo scrittore e illuminante per i lettori che , dalle sue parole, dalle esperienze vissute, dai traumi infantili, dalle debolezze riescono a mettere a fuoco il senso di smarrimento o i concetti filosofici o la repulsione verso la carnalità presenti in opere kafkiane quali Metamorfosi, Il Castello, America.
Il gigante, l’istanza suprema, il tiranno sono solo alcuni tra i nomi con cui lo scrittore si riferisce al genitore ma, in tutta la lettera tende comunque a precisare quanto non sia colpevole il padre della loro estraneità, della loro distanza e della loro totale e profonda diversità.
Kafka vive in continuo stato di soggezione, di timore e di inadeguatezza: si sente svilito nel corpo quando confrontando la sua esile figura con quella atletica e robusta del padre ne usciva inevitabilmente perdente al punto tale da vergognarsi di sè stesso al mare quando era vicino al genitore.
Già soltanto la tua corpulenza mi schiacciava; mi ricordo le tante volte che ci siamo spogliati nella stessa cabina: io magro, debole e sottile; tu forte, alto e robusto. Già nella cabina mi facevo compassione e non solo di fronte a te, ma di fronte a tutto il mondo, perchè tu eri per me la misura delle cose.
Quello che si evince dai pensieri dello scrittore è la rabbia che in maniera contenuta, un pò per la distanza dalle cose che l’età gli ha permesso di avere, un pò per la rassegnazione a quanto fino ad allora era stato, mostra per l’insensibilità paterna circa il proprio potere e il suo conseguente ascendente nel fare o non fare nella vita.
Il Kafka bambino prima e adolescente poi di fatti è paralizzato da questo timore: il non essere mai abbastanza, mai giusto, mai lodevole, agli occhi di chi, brutalmente si opponeva a qualunque idea o a qualunque persona entrasse nella testa e nella vita del figlio e considerata poca cosa la prima schiera, disonorevole la seconda.
Il sistema educativo paterno rigido, opprimente in maniera palese o peggio ancora, con silenzi minacciosi, minano la personalità del Kafka ragazzo, che a mano a mano costruisce se stesso.
Tu possiedi, credo, un talento educativo; a un individuo del tuo stampo avresti potuto sicuramente giovare, avrebbe riconosciuto la ragionevolezza di quanto gli dicevi, non si sarebbe preoccupato d’altro e si sarebbe tranquillamente comportato di conseguenza. Ma per me bambino tutto ciò che mi intimavi era comandamento celeste, non lo dimenticavo mai, restava per me il metro più importante per giudicare il mondo, soprattutto per giudicare te stesso, e qui fallisti completamente.
Arriva, il giovane pensiero kafkiano a credere che il mondo potesse essere diviso in tre parti : schiavi sottoposti a leggi restrittive ed individuali, governo con prerogativa di dettar legge ed infine libertà: lo scrittore sentiva di appartenere al primo mondo, di vedere il padre protagonista del secondo e di sognare di vivere come il resto della gente nel terzo.
Dell’educazione ricevuta, sente di non aver schivato nemmeno un colpo ma per remissività e paura di aver preso alla lettera ogni comando, ogni parola venisse pronunciata da chi doveva prendere tutto arrivando a sviluppare una soggezione tale da creargli problemi nel linguaggio umano corrente, nella capacità di comunicare con gli altri.
Nella lettera Kafka in riferimento alle punizioni inflitte dal padre, sottolinea come in effetti non facesse mai ricorso a punizioni corporali ma il solo fatto di fingere di metterle in atto, di essere lì lì sul punto di farle era più crudele e doloroso di qualsiasi livido: si sentiva ancor peggio di un impiccato a morte, perchè per costui la morte rappresentava la fine di tutto; ma per lui invece sapere di essere stato “immotivatamente graziato” era un fardello ancor più difficile da portare con sè.
Parla anche del rapporto con gli altri fratelli lo scrittore, dei dipendenti dell’azienda paterna, della voglia di allontanarsi da qualsiasi cosa appartenesse al genitore, dell’allontanamento da casa e dalla mamma, barlume di dolcezza incontaminata, valvola si sfogo per marito e figli.
Se volevo scappare da te, dovevo scappare anche dalla famiglia, perfino dalla mamma. E’ vero che da lei si trovava sempre protezione, ma solo in rapporto a te.Ti amava troppo e ti era troppo fedelmente devota per poter essere alla lunga, nella lotta del figlio, un potere spirituale indipendente.
La lettera si conclude con un’ipotetica replica paterna dove lo scrittore viene accusato di essere stato da sempre un parassita, incapace di vivere la propria vita e in grado solo di rifugiarsi nell’autocommiserazione e nel vittimismo; ma, come giustamente Kafka sottolinea non è che una replica che parte da se stesso, capace di giudicarsi in maniera ancora più crudele paradossalmente di quanto non facesse il capo famiglia.
Considera l’ipotesi di una rettifica della replica in modo che si possa:
raggiungere a mio avviso un’ approssimazione alla realtà tale da dare ad entrambi un pò di tranquillità e da renderci più facile il vivere e il morire.