Bhagavad gita
Di nuovo giacqui insonne ora dopo ora,
l’anima colma e ferita da un dolore incontenibile.
Fuoco e morte vidi divampare sulla terra,
a migliaia soffrire, morire e marcire senza colpa.
E io abiurai in cuor mio la guerra
come il Dio cieco di insensate pene.
Vedi, allora mi risonò
nell’ora di cupa solitudine il ricordo,
e mi parlò il versetto di pace
di un antichissimo libro indiano degli dei:
“Guerra e pace, sono entrambe uguali,
perchè nessuna morte sfiora dello spirito il regno.
Sia che s’ alzi la coppa della pace sia che si infranga,
inalterato rimane il dolore del mondo.
Per questo combatti e non restare muto:
che tu smuova forze è volontà di Dio!
Ma porti pure la tua lotta a mille vittorie,
intatto continua a battere il cuore del mondo.”
Hermann Hesse
“Bhagavad gita” vuol dire “Canto del divino” ed è un poema religioso di circa settecento versi facente a sua volta parte dell’infinito poema epico di lingua sanscrita “Mahabharata”.
Hesse autore poliedrico ed inquieto mise al servizio della letteratura i suoi studi filosofici e religiosi, le sue esperienze i suoi viaggi, il suo leggere Jung e Freud (del primo fu anche paziente). Tutte le produzioni sono intrise, cariche, di visioni chiare, teorie partorite, aggiustate, ritagliate. L’autore nato a Calw soggiornò in oriente per lungo tempo (Cina ed India) e rimase folgorato dalle visioni di questi popoli, delle loro religioni e teorie sull’uomo. I suoi grandi romanzi testimoniano questo amore,”Siddhartha” su tutti, ma i suoi scritti in generale tracciano una parabola umana ed esistenziale fatta di sentieri tortuosi, di momenti di transito tra spazi e stagioni di vita, di scelte sofferte, di fasi ben scandite, di dolorose vite interiori nelle quali la cultura e la società non fanno altro che incidere con sofferenze enormi; battaglie d’animo continue.
In questo sprazzo di canto hessiano ammiriamo la suprema abolizione della realtà dualistica che la nostra cultura europea ha (grande/orrendo regalo del cristianesimo), male-bene, fare-nonfare; se si crede ad uno spirito (ed una religione non può non farlo) bisogna esser consapevoli che la carne, quel che subisce, quel che sprigione (che sia anche anima) non può influenzare il mondo ideale, quello spirituale, quello ultraterreno, l’iperuranio come direbbe Platone, l’al di là del cielo. Ci si potrebbe così trovare a combattere in un modo totalmente diverso una battaglia, una guerra intera che sia, o un esperienza di vita, o una vita intera; i versetti di pace che rievoca esortano ad agire, a muovere le energie, anche ad impugnare un arma se l’avvenimento di vita chiama a far questo, c’è il movimento, c’è l’esistenza, tutto è sullo stesso piano, cosa intacca infine il tutto? Il cuore del mondo si muova…questa è la richiesta, solo questa, gli Dei, o Dio, non vogliono che la loro creazione muoia…è importante fare cose umane! Umane davvero però…