“One moment. Eleven lives. Endless consequences.”
Esiste una teoria, strana, poco conosciuta (almeno in Italia) di cui ho letto qualche tempo fa in rete e che mi ha affascinata per alcuni aspetti e disorientata (probabilmente per le mie limitate capacità matematiche) per altri. Questa teoria è conosciuta col nome di “Sei gradi di separazione” ed è stata proposta per la prima volta da uno scrittore ungherese nel 1929 in un racconto che ha lasciato poche tracce dietro di sé. Secondo tale ipotesi qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di cinque intermediari.
Assurdo direi. Forse spaventoso. Ma se fosse realmente così, quante e quali sarebbero le probabilità per ognuno di noi di influenzare la vita di ogni altro singolo essere umano appartenente alla terra? Mark Watson, comico inglese, classe 1980, si presenta al pubblico con il suo terzo romanzo (sicuramente il più riuscito dei tre) che tratta di questa teoria e non solo attraverso l’uso azzeccato e mai invasivo della sua verve ironica e tagliente. Il protagonista di questa short story ambientata a Londra è Xavier Ireland, un dj che lavora in radio e conduce uno di quei programmi (tanto cari ai fratelli americani) in cui sonnambuli e non chiamano per confessare e confessarsi speranze, paure e rimpianti, insomma le loro storie. Storie che Xavier ha sentito e risentito, storie di solitudine e di malinconia, di sconforto e di sensi di colpa, un po’ come la sua, drammatica, che lo ha cambiato, intristito e scoraggiato. Tutto ciò che deve succedere succede e non possiamo farci niente. Tutto ciò che Xavier vuole dalla sua nuova vita è sentirsi in colpa, e non fare niente, per non causare niente. Non cambiare così il corso degli eventi. E proprio seguendo questo suo credo un giorno, invece di aiutare un ragazzino in difficoltà, prosegue oltre. Senza immaginare che il suo gesto scatenerà una serie di imprevedibili conseguenze, investendo in pieno la sua fragile corazza. E travolgendo altre undici vite oltre la sua. Tutti inconsapevoli di essere connessi gli uni agli altri.
Una trama forse non originale ma sicuramente reinterpretata nel migliore dei modi.
“Una commedia buffa e malinconica sui fili che legano la nostra vita a quelle degli altri, e su come le cose accadano con o senza ragioni. Su come non sia affatto vero che siamo artefici del nostro destino. Perché qualche volta il peggio succede. Ma qualche volta arriva anche qualcuno a salvarci.”
Dopotutto chi non si è mai chiesto il perchè di determinati incontri o eventi? Chi non ha il piccolo dubbio (o speranza) di far parte di un grande progetto? Io li ho entrambi.
(Piccola chicca: il blog dell’autore in cui spiega, usando parole certamente molto più adatte delle mie, la sua idea di destino legata al romanzo.
http://www.markwatsonthecomedian.com/web/2010/02/25/eleven/)